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  • Lunedì 10 settembre 2012

I democratici hanno perso le elezioni a Hong Kong

Soprattutto a causa di un sistema elettorale molto farraginoso: intanto il leader del partito, Albert Ho, si è dimesso

A woman looks at a display of various candidates running in the territory's legislative elections, outside a polling station in Hong Kong on September 9, 2012. Hong Kong voters went to the polls in legislative elections seen as a crucial test for the Beijing-backed government, as calls for full democracy grow and disenchantment with Chinese rule surges. AFP PHOTO / RICHARD A. BROOKS (Photo credit should read RICHARD A. BROOKS/AFP/GettyImages)
A woman looks at a display of various candidates running in the territory's legislative elections, outside a polling station in Hong Kong on September 9, 2012. Hong Kong voters went to the polls in legislative elections seen as a crucial test for the Beijing-backed government, as calls for full democracy grow and disenchantment with Chinese rule surges. AFP PHOTO / RICHARD A. BROOKS (Photo credit should read RICHARD A. BROOKS/AFP/GettyImages)

Secondo i primi risultati ufficiali delle elezioni per il rinnovo dell’assemblea legislativa di Hong Kong, il Partito Democratico attualmente all’opposizione ha ottenuto un forte sostegno da parte degli elettori, ma un numero inferiore di seggi rispetto a quello previsto. Il risultato è stato dunque giudicato «deludente» e il leader dei democratici, Albert Ho, si è dimesso.

«Assumendo la piena responsabilità politica del risultato», Albert Ho ha attribuito l’esito elettorale a una scissione interna del campo democratico e alla popolarità degli altri candidati e ha spiegato: 

«Negli ultimi mesi, gli elettori sono diventati sempre più impazienti e anche arrabbiati con l’attuale amministrazione. Ritengo che molti di loro abbiano deciso di scegliere alcune persone che giocano un ruolo molto più aggressivo all’interno del Consiglio Legislativo», facendo riferimento all’altro partito critico contro Pechino, il Partito Civico, che ha invece migliorato il proprio risultato ottenendo 5 seggi, rispetto ai 4 precedenti. Il partito dei democratici dovrebbe comunque aver raggiunto lo soglia di un terzo dei deputati, necessaria per mantenere il diritto di veto sulle principali decisioni politiche.

Il sistema costituzionale di Hong Kong prevede un esecutivo guidato dal cosiddetto “Chief executive”, l’amministratore delegato nominato da un Comitato Elettorale composto attualmente da 1200 membri rappresentanti delle varie categorie professionali e un Consiglio Legislativo composto da 70 membri a partire da quest’anno (prima erano 60), la metà dei quali sono eletti a suffragio universale e l’altra sono selezionati da gruppi di “grandi elettori” corporativi, espressione diretta di interessi politici, economici, religiosi o scelti dallo stesso governo cinese. Lo stesso gruppo di grandi elettori ha già votato il capo del governo. A Hong Kong, dunque, i 3,5 milioni di cittadini che hanno diritto al voto sono autorizzati ad eleggere direttamente solo 35 dei 70 seggi disponibili.

Nelle elezioni di ieri, i partiti pro-democrazia di Hong Kong hanno ottenuto 27 seggi totali, 4 seggi in più rispetto al precedente Consiglio Legislativo. Ma l’alta affluenza (circa il 53 per cento, quasi l’8 per cento in più rispetto alla precedente votazione del 2008) non si è tradotta in un deciso aumento del sostegno al blocco democratico. Gli schieramenti dell’Alleanza democratica per il progresso di Hong Kong, sostenitori di una maggiore integrazione con la Cina e dell’attuale Capo dell’Esecutivo Leung Chun-ying (che si è insediato a luglio) hanno ottenuto invece 43 seggi e sono quindi il partito di maggioranza relativa.

Tra gli elementi che avrebbero favorito i partiti politici vicini a Pechino, oltre alle maggiori risorse finanziarie, vi sarebbe inoltre una maggiore abilità nel gestire il complesso sistema elettorale della Regione: nelle varie circoscrizioni geografiche di Hong Kong, gli elettori sono chiamati a scegliere tra diverse liste di candidati in cui la prima persona di ogni lista ha molte più possibilità di essere eletta rispetto ai candidati successivi.

Il partito vicino a Pechino ha saputo sfruttare a proprio vantaggio questo sistema, creando più liste per ogni circoscrizione geografica e usando una fitta rete di sostenitori sul territorio per distribuire il voto tra le differenti liste. A fronte quindi di un risultato complessivo abbastanza debole (circa il 42 per cento contro il 56 per cento dei democratici), il partito filo-cinese sarebbe riuscito a far eleggere molti capi lista e a ottenere quindi più seggi.

Dal punto di vista amministrativo, Hong Kong è una delle due Regioni Amministrative Speciali della Cina (l’altra è Macao, ex colonia portoghese che fa parte della Cina dal 1999). Abitata da poco più di 7 milioni di persone, è rimasta sotto l’amministrazione britannica fino al 1997 quando, sotto precise condizioni, è stata ceduta alla Cina. Oggi la Regione ha una propria struttura di governo, ma l’esercizio elettorale resta lontano da quel suffragio universale promesso ai cittadini nel 1997, al tempo del passaggio di sovranità dalla Gran Bretagna alla Cina della ex colonia britannica e promosso dall’attuale Partito Democratico.

Le elezioni ad Hong Kong si sono svolte appena un giorno dopo la decisione del governo di sospendere l’introduzione nel curriculum scolastico di un corso di “Educazione morale e nazionale” (criticato da molti per essere una forma di propaganda a favore del governo centrale cinese) e dopo le proteste di decine di migliaia di persone che nelle ultime settimane erano scese in piazza contro questa possibilità. Secondo i promotori delle manifestazioni, “Educazione morale e nazionale” era un programma per inculcare propaganda politica agli studenti. Il programma non era molto diverso da quello che già viene insegnato nel resto della Cina continentale.