Ieri, in un’aula molto affollata del tribunale di San Jose in California, gli avvocati di Apple e Samsung hanno tenuto le loro arringhe finali davanti alla giuria che dovrà decidere quale delle due società abbia copiato l’altra nella realizzazione di alcuni prodotti, come smartphone e tablet. Il processo in corso negli Stati Uniti è molto seguito da analisti, esperti di brevetti e appassionati di tecnologia: il suo verdetto potrebbe infatti influire sensibilmente sul futuro di molti aggeggi che usiamo ogni giorno dagli iPhone agli smartphone che funzionano grazie ad Android, passando per i tablet che fanno concorrenza agli iPad. Apple accusa Samsung di aver copiato buona parte delle proprie tecnologie, mentre Samsung afferma che i suoi dispositivi erano già in fase di progettazione quando la concorrenza presentò i propri prodotti. Le due società vogliono risarcimenti danni per miliardi di dollari e l’imposizione di divieti per la vendita di alcuni smartphone e tablet.
La giornata in tribunale di ieri è iniziata con la lettura, a detta di molti sfinente, delle 109 pagine delle istruzioni [pdf] che i membri della giuria dovranno seguire per decidere quali brevetti siano stati infranti e a danno di chi. Prima della lettura della lunga guida, il giudice che si occupa del caso, Lucy Koh, ha invitato i giurati a prestare la massima attenzione anche durante la lungaggine burocratica: «Ho bisogno che tutti siano attenti mentre facciamo questo, me compresa». La lettura delle 84 istruzioni, che serviranno per compilare la complessa serie di schede affidata alla giuria per indicare quali brevetti siano stati violati da Samsung ai danni di Apple e viceversa (foto qui sotto), è stata interrotta più volte dal giudice che a intervalli regolari ha invitato tutta la corte ad alzarsi in piedi “per far scorrere nuovamente il sangue nelle vene”.
Terminate le formalità, gli avvocati delle due parti si sono rivolti direttamente alla giuria per le loro arringhe finali.
Apple
Per spiegare come stanno le cose secondo Apple, il legale della società Harold McElhinny ha seguito un preciso ordine cronologico. Ha ricordato ai giurati che i cellulari prodotti da Samsung tra il 2004 e il 2007 non assomigliavano per nulla all’iPhone e che le cose cambiarono solamente dopo il lancio del nuovo smartphone da parte di Apple. Il nuovo dispositivo fu da subito un successo e poco tempo dopo Samsung iniziò a produrre modelli del tutto simili agli iPhone.
Ricordando l’esistenza di alcuni documenti interni di Samsung che a suo parere lo dimostrano, McElhinny ha spiegato che la società si diede da fare per copiare e imitare l’iPhone e molte delle soluzioni tecnologiche in esso contenute, senza assumersi nessun grande rischio di impresa come aveva fatto per quattro anni Apple per sviluppare e poi produrre qualcosa di totalmente nuovo. Imitando l’iPhone, Samsung trasse enormi vantaggi: il Galaxy S, ritenuto una imitazione dell’iPhone, ebbe un notevole successo e fece ripartire le vendite nel settore fino ad allora poco produttivo degli smartphone per Samsung.
Se si è arrivati al processo, ha spiegato McElhinny, è perché – dopo le prime accuse mosse da Apple – Samsung decise di controbattere e di rilanciare con una propria serie di accuse «che alla fine ci hanno portato in questa aula di tribunale». Cercando probabilmente di fare leva sulla giuria statunitense, il legale ha anche ricordato che nessuno dei massimi dirigenti coreani di Samsung si è preso il disturbo di raggiungere la California per testimoniare nel corso del processo: «Abbiamo chiamato come testimoni alcuni dei loro top manager. Samsung aveva la possibilità di difendersi nel corso del dibattimento; hanno invece scelto di mandarvi solo i loro avvocati. Al posto dei testimoni, hanno inviato gli avvocati». Apple, invece, nel corso del processo è stata rappresentata anche da due dei suoi più importanti dirigenti: Phil Schiller e Scott Forstall.
McElhinny ha anche smontato la posizione di Samsung sul fatto che molte delle funzionalità e caratteristiche dell’iPhone esistevano già prima della sua messa in vendita: «Non sono riusciti in alcun modo a provare questa tesi». Il legale ha anche accusato Samsung di aver copiato da Apple la grafica e il tipo di confezioni per i propri dispositivi, generando confusione tra molti acquirenti. Ha poi concluso ricordando che Samsung ha venduto 22,7 milioni di dispositivi derivanti dal plagio degli iPhone e degli iPad, generando ricavi per circa 8,16 miliardi di dollari. Per questo motivo Apple chiede un risarcimento che potrebbe arrivare a 2,48 miliardi di dollari. McElhinny ha concluso invitando la giuria a pensare ai documenti copiati e all’allerta che alcuni dirigenti Google inviarono a Samsung, mettendo in guardia la società sull’eccessiva somiglianza dei suoi prodotti con quelli di Apple.
Nella prossima pagina, le conclusioni di Samsung e le repliche delle parti