• Mondo
  • Lunedì 20 agosto 2012

Una ragazzina di 11 anni è stata arrestata in Pakistan

È accusata di aver bruciato il Corano, è cristiana e forse disabile: ed è una vicenda ricorrente a causa di una contestata legge sulla blasfemia

Pakistani Christian boys play next to a wall with biblical paintings, on Good Friday in a neighborhood in Islamabad, Pakistan, Friday, April 6, 2012. Christians around the world are marking the Easter holy week. (AP Photo/Muhammed Muheisen)
Pakistani Christian boys play next to a wall with biblical paintings, on Good Friday in a neighborhood in Islamabad, Pakistan, Friday, April 6, 2012. Christians around the world are marking the Easter holy week. (AP Photo/Muhammed Muheisen)

Rifta Masih, una ragazzina pakistana di 11 anni, è stata arrestata giovedì scorso a Mehrabadi, una cittadina a 20 minuti d’auto da Islamabad, la capitale del Pakistan. La bambina, di famiglia cristiana, è stata accusata di blasfemia, un reato che secondo il codice penale pakistano può essere punito anche con la pena di morte. Dopo l’arresto di Rifta circa 300 famiglie cristiane sono state costrette ad abbandonare le loro case.

I cristiani che abitano la zona sono circa il dieci per cento della popolazione, solitamente sono impiegati nei lavori peggiori e più umili, come la manutenzione delle fogne. «Non credo che nessuno di noi oserà tornare dopo quel che è successo», ha dichiarato al Guardian Arif Masih, un membro della comunità cristiana. «La zona non è più sicura per noi». Uno dei membri della comunità musulmana ha detto che le famiglie cristiane hanno tempo fino al primo settembre per abbandonare la città. Qualcuno ha deciso comunque di restare, ma i commercianti si sono rifiutati di vendergli cibo e acqua.

La ricostruzione di quel che è realmente accaduto non è ancora del tutto chiara. Hammad Malik, un ragazzo musulmano di 23 anni, ha detto di aver visto Rifta Masih uscire dalla casa dei suoi genitori poco dopo le sei del mattino portando con sé un sacchetto di spazzatura con i resti bruciacchiati di alcune pagine del Corano.

Il ragazzo ha detto di aver capito che si trattava del testo sacro perché le pagine avevano delle parole scritte in arabo. Lui stesso ammette di non aver visto la bambina dare fuoco al testo, ma solo di averla sorpresa mentre si allontanava da casa «mentre cercava un posto per liberarsi delle pagine bruciate». Uno dei mullah locali però afferma che c’è anche un altro testimone, un giovane che sarebbe corso in moschea a dare l’allarme subito dopo aver visto la ragazza intenta a bruciare le pagine del testo sacro.

Secondo la comunità cristiana di Mehrabadi, quanto accaduto è un pretesto o addirittura un complotto. Il sacerdote Bootta Masih ha detto che sarebbe stato un vicino di casa musulmano a chiedere alla ragazza di andare a buttare via il sacchetto di immondizia. «L’hanno fatto per provocare, come quando cantano e fanno rumore nelle loro chiese», ha detto invece al Guardian un mullah locale che non ha voluto dare il suo nome. «Non siamo certo tristi perché i cristiani se ne sono andati e saremo felici se non torneranno».

Un altro particolare non molto chiaro è se la ragazzina sia o no affetta dalla sindrome di Down, come sostengono alcuni media locali ripresi dalle testate internazionali. Secondo la comunità musulmana la notizia è falsa. Qualcuno dei suoi vicini di casa, riporta il Guardian, dice che la ragazzina aveva degli strani atteggiamenti, come parlare da sola e camminare in un modo strano. Paul Bhatti, il ministro pakistano per l’armonia nazionale, ha detto alla BBC che la ragazzina ha dei disturbi mentali e che per questo «non avrebbe deciso di bruciare le pagine consapevolmente».

La polizia inizialmente era riluttante ad arrestare la ragazzina, ma una folla stimata tra le 600 e le 1000 persone, che in parte ha bloccato la strada principale verso la capitale, ha minacciato di linciare la ragazza e la madre e di dare fuoco alla loro abitazione. Anche se nessuna esecuzione è stata eseguita in Pakistan per blasfemia, secondo i dati forniti dalla Commissione nazionale per la Giustizia e la Pace (Ncjp), un organismo della Chiesa cattolica pakistana, dal 1986 (anno in cui il reato è stato introdotto nel codice penale pakistano) all’agosto 2009, almeno 964 persone sono state incriminate per blasfemia e le pene inflitte dai tribunali sono molto lunghe. Una coppia cristiana è rimasta in carcere 25 anni con l’accusa di aver toccato il Corano senza essersi lavata le mani.

La prima donna condannata a morte (e ora in carcere in attesa dell’esito del ricorso contro la sentenza di primo grado) per blasfemia è Asia Bibi. Il suo caso convinse molti pakistani a chiedere di cancellare o rivedere la legislazione nazionale. Nel 2011 Salman Taseer, l’ex governatore della provincia del Punjab, è stato assassinato dalla sua guardia del corpo dopo aver definito la legge sulla blasfemia “legge nera”, perché si presta alle più diverse strumentalizzazioni, anche perché l’accusatore non ha l’onere di provare quello che dice.

Il ministro per le minoranze religiose Shahbaz Bhatti, cattolico, anche lui assassinato da fondamentalisti islamici nel marzo del 2011, dichiarò nel novembre del 2010 parlando del caso di Asia Bibi:

«La legge sulla blasfemia è spesso utilizzata come uno strumento per risolvere questioni personali; l’85 per cento dei casi sono falsi. Molti innocenti sono stati vittima di casi di blasfemia. I tribunali emettono verdetti, ma poi i crimini non vengono provati dalle alte corti. Il governo sta rivedendo la legge sulla blasfemia e sta lavorando contro gli abusi».

Foto: Un quartiere cristiano a Islamabad, in Pakistan (AP/Muhammed Muheisen)