Il caso Unipol-Fonsai, di nuovo

Ovvero perché la storia dei Ligresti non è ancora finita: c'entrano un foglio segreto e l'amministratore di Mediobanca

di Davide Maria De Luca

Il primo agosto, dopo sei ore di interrogatorio nella procura di Milano, Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, ha ammesso di aver firmato il 17 maggio la fotocopia di un foglio di carta a quadretti: il foglio conteneva alcune richieste che la famiglia Ligresti gli aveva sottoposto per dare il proprio via libera alla fusione del loro gruppo con la Unipol assicurazioni.

Il primo e più importante passo della fusione, l’aumento di capitale di Premafin (la holding della famiglia Ligresti che controlla le assicurazioni Fonsai e Milano), si sta concludendo in questi giorni. Ma quel foglio a quadretti che Nagel ha ammesso di aver firmato potrebbe far fallire la fusione Unipol-Fonsai (e costare il posto ad Alberto Nagel).

(Perché si parla sempre di Ligresti)

Martedì sia il Financial Times che il Wall Street Journal hanno dedicato due articoli alla notizia dell’interrogatorio di Alberto Nagel e hanno riassunto (con un poco di incredulità) la vicenda piuttosto grottesca, anche per gli standard della finanza italiana. La famiglia Ligresti poco più di un anno fa si era trovata costretta a cedere il controllo delle sue società: la holding (cioè una società che è semplicemente una scatola vuota che contiene partecipazioni azionarie in altre società) Premafin e le due assicurazioni controllate: Fonsai e Milano Assicurazioni, tutte e tre praticamente al fallimento dopo anni di cattiva gestione.

Una bancarotta, però, oltre ad essere un danno per la famiglia Ligresti, sarebbe stata anche un grosso danno per alcune grandi banche, tra cui Mediobanca, che, nel corso degli anni e per motivi non sempre trasparenti, avevano finanziato Fonsai e Premafin. In caso di fallimento avrebbero perso più di un miliardo di euro. La soluzione trovata da Mediobanca e Ligresti per salvare tutti era fondere Premafin, Fonsai e Milano Assicurazioni con Unipol, l’assicurazione controllata dalle cooperative emiliane. Questa soluzione avrebbe potuto accontentare tutti i partecipanti all’operazione.

A questo punto entra in gioco la Consob, ovvero l’ente di controllo delle operazioni della borsa italiana. La Consob, il 24 maggio di quest’anno, ha deciso che i Ligresti dalla fusione non dovevano guadagnarci nulla, altrimenti non avrebbe dato il suo via libera per procedere senza dichiarare un’OPA (Offerta pubblica d’acquisto, un’operazione che si deve obbligatoriamente compiere quando si arriva a possedere il 30% di una società e che può essere molto costosa; l’amministratore delegato di Unipol disse che avrebbe acquistato le società Ligresti solo se gli fosse stata concessa dalla Consob l’esenzione dall’OPA). In altre parole la Consob stabiliva che quello dell’impero Ligresti era un salvataggio, reso necessario dalla cattiva gestione della famiglia. Quindi la famiglia stessa non doveva poterci guadagnare.

Dopo questa decisione, l’unico modo di tutelarsi, per i Ligresti, era (ed è tutt’ora) far saltare la fusione e trovare una nuova società che sia disposta a salvare il loro impero, concedendogli una buonuscita. Ma far saltare la trattativa è difficile, a causa delle enormi pressioni che Mediobanca e gli altri istituti fanno ai Ligresti. Quando poi altre due holding di famiglia (Imco e Sinergia) sono state dichiarate fallite dal tribunale a metà giugno, i Ligresti hanno perso la maggioranza in Premafin e non hanno più potuto fermare la trattativa.

Con l’interrogatorio di Nagel è stato scoperto che i Ligresti avevano chiesto a Nagel una serie di garanzie per il loro sì alla fusione (accadeva una settimana prima che la Consob vietasse ogni forma di buonuscita alla famiglia). Queste garanzie erano contenute in un foglietto di carta a quadretti, scritto a mano da Jonella Ligresti, firmato da Alberto Nagel e rimasto segreto fino a qualche settimana fa.

Alberto Nagel è ufficialmente indagato per “ostacolo alla vigilanza”. In altre parole, l’ipotesi su cui il pubblico ministero Luigi Orsi sta indagando è che Nagel abbia nascosto delle informazioni alla Consob, non rivelando il patto segreto che aveva firmato con i Ligresti. Nagel ha risposto che in quel foglietto di carta a quadretti non c’era un accordo vincolante e la sua firma significava solo un “presa visione”.

Il documento segreto che Nagel aveva firmato il 17 maggio era una fotocopia di un normale foglio A4 a quadretti, scritto fronte retro da Jonella Ligresti, figlia maggiore di Salvatore Ligresti. La condizione principale chiesta dai Ligresti era un pagamento di 45 milioni, ma c’erano anche diverse condizioni non monetarie (elencate da Andrea De Biase su la Stampa). Come ad esempio soggiorni gratuiti a vita al Tanka Village (un resort 4 stelle in Sardegna), un ufficio e una segretaria per Salvatore Ligresti, un posto di lavoro in una delle società estere di Fonsai per il figlio Paolo,  un’auto con autista e qualche casa di lusso: tutto a spese del nuovo soggetto che sarebbe nato dall’unione di Unipol e Fonsai. Secondo alcune indiscrezioni, Salvatore Ligresti avrebbe minacciato di suicidarsi se quelle condizioni non fossero state accettate.

L’accordo contenuto nel patto segreto, però, non si realizzò mai. Nagel infatti non avrebbe mai potuto prendere quegli impegni in prima persona. Gli impegni dell’accordo infatti riguardavano la società che sarebbe nata dall’unione di Fonsai e Unipol e non Mediobanca, la società amministrata da Nagel. A firmare quell’accordo sarebbe dovuto essere Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol (che nega di essere a conoscenza dei punti contenuti nel foglio). L’ipotesi è che Nagel si sia impegnato con la famiglia Ligresti a trattare con Cimbri per fargli approvare quelle condizioni. Pochi giorni dopo la firma dell’accordo, la Consob stabilì che non avrebbe accettato alcuna buonuscita per la famiglia Ligresti, così del patto non se ne fece più nulla.

Il tocco grottesco della vicenda è che ad avvertire il PM Orsi del misterioso foglio di carta a quadretti fu proprio la donna che lo aveva scritto, cioè Jonella Ligresti. Non è stato facile, per Jonella, convincere il pubblico ministero dell’esistenza del documento (la cronaca di questa vicenda è stata fatta più estesamente da Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera).

In un primo momento Jonella consegnò al magistrato soltanto una fotocopia del documento, privo di firme. Poi riuscì a trovare l’originale, che però, al posto delle firme, aveva in calce soltanto dei segni illeggibili. A quel punto il PM cominciava a sentirsi preso in giro e a pensare che non ci fosse proprio nessun foglio con accordi segreti. All’ultimo momento Jonella è riuscita a registrare di nascosto uno degli avvocati di Mediobanca mentre ammetteva l’esistenza del foglio siglato con le iniziali di Alberto Nagel e Salvatore Ligresti. Jonella poi ha consegnato la registrazione al pubblico ministero che, finalmente convinto, ha fatto sequestrare il documento. Sul perchè di questa autodenuncia del patto segreto, i commentatori non hanno dubbi: si tratta dell’ultima trappola escogitata della famiglia siciliana per cercare di mandare all’aria le trattative e salvare (o almeno provarci) gli interessi di famiglia.

Salvatore Ligresti
foto: ROBERTO MONALDO/LAPRESSE