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  • Mercoledì 27 giugno 2012

L’India ha torto sul caso Enrica Lexie?

Se lo chiedono due membri di un centro studi indiano, rompendo l'atteggiamento rigidamente colpevolista della stampa locale sui militari italiani arrestati

Martedì 26 giugno uno dei più importanti quotidiani indiani, The Hinduha pubblicato un articolo firmato da Samir Saran e Samya Chatterjee, rispettivamente vicepresidente e ricercatore della Observer Research Foundation, un centro studi fondato nel 1990 e con sede a Nuova Delhi. I due si occupano della vicenda della nave Enrica Lexie e dei due militari italiani arrestati in India con l’accusa di omicidio, e spiegano perché le ragioni sostenute dall’Italia sono giuridicamente giustificate. E come, dunque, “la reputazione dell’India come paese che rispetta il diritto internazionale sarà minata”. Si tratta di una cosa piuttosto insolita, visto che fin qui la stampa locale indiana ha sempre mantenuto un atteggiamento rigidamente colpevolista nei confronti dei militari italiani.

L’India, con il suo crescente bisogno di energia e materie prime, dipende sempre più dal trasporto marittimo dove resta però molto grave la questione della pirateria, soprattutto nel Corno d’Africa. Secondo il rapporto dell’International Maritime Bureau (IMB), infatti, nel 2011 sono stati segnalati 439 episodi di pirateria a livello mondiale, un po’ meno del 2010, con 445 casi. La centralità delle rotte sul mare e l’alto numero di incidenti sono i motivi per cui l’India, secondo i due autori, dovrebbe definire al più presto una risposta molto chiara a questo problema. E il caso dell’Italia viene assunto come un “cattivo esempio”.

Il recente incidente di due marinai italiani che hanno sparato a due pescatori indiani il 15 febbraio – in quello che è stato chiaramente un caso di risposta basata su un errore di giudizio contro un atto percepito come di pirateria – non dovrebbe essere considerato isolatamente. Dovrebbe invece provocare una discussione più argomentata sulla questione più ampia delle crescenti minacce della pirateria, sulle risposte da parte degli stati e del settore marittimo e su altre questioni legali concomitanti tra cui la libertà di navigazione.

I due autori dicono che nel caso della nave Enrica Lexie bisogna farsi due domande. La prima è chiedersi quale fosse l’autorità in nome di cui hanno agito i due militari. La seconda è chiedersi dove è avvenuto l’incidente, in modo da stabilire se si applichi il Codice penale indiano o qualche convenzione internazionale a cui ha aderito anche l’India.

La risposta alla prima domanda è semplice. I due militari non erano né mercenari privati né ex soldati, ma militari in servizio distaccati sulla nave a causa di una legge italiana, che a sua volta segue una convenzione delle Nazioni Unite: entrambe con l’obiettivo di combattere la pirateria. Di conseguenza, la loro è stata un’azione militare, anche se sproporzionata e sbagliata, “in difesa del loro territorio” (anche se in questo caso si tratta di un territorio che naviga): i due dovrebbero essere in un carcere militare in attesa di un processo davanti a un tribunale militare, e non in una prigione civile del Kerala.

C’è poi la questione di dove sia avvenuto l’incidente. A questo riguardo, anche la Guardia costiera indiana ha ammesso che l’incidente è avvenuto a 20,5 miglia nautiche dalla costa (circa 38 km) e quindi al di fuori del territorio dell’India (le convenzioni internazionali stabiliscono che le acque territoriali finiscano a 12 miglia nautiche dalla costa). Sia l’Italia che l’India hanno firmato trattati internazionali che danno la piena e totale autorità sulle indagini e su eventuali processi, in questi casi, al paese dove è registrata la nave. L’Italia dovrebbe quindi condurre le indagini e sarebbe anche l’unico paese con l’autorità per ordinare un arresto o un sequestro della nave. I due autori concludono:

La Corte suprema dell’India, ora informata del caso, deve chiarire se i tribunali civili dell’India hanno giurisdizione in questi casi. C’è un urgente bisogno di una decisione ragionata su questo caso, basata su precedenti internazionali, tenendo in mente gli interessi marittimi dell’India nel Mar Cinese Meridionale e nel Corno d’Africa. Il procuratore generale aggiunto Harin Raval ha confermato in un’udienza pubblica che il Kerala e l’India, infatti, non hanno giurisdizione. Non stupisce che Raval sia stato subito rimosso dal caso, su impulso delle autorità locali. Gran parte degli stati costieri sono governati da un’amministrazione politica diversa da quella centrale e dunque la politica nazionale continuerà a interferire con incidenti simili in futuro. È fondamentale un’interpretazione non ambigua della Corte suprema, altrimenti la reputazione dell’India come paese che rispetta il diritto internazionale verrà minata.

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foto: STRDEL/AFP/Getty Images