Il cinema dell’orticello

Il critico Paolo Mereghetti attacca sulla Lettura la cinefilia ai tempi di YouTube, e la accusa di essere diventata sterile e dilettantesca

A Pakistani cobbler shines a pair of shoes in front of the western film posters on a roadside in Lahore on May 14, 2010. Pakistan approached the International Monetary Fund (IMF) in 2008 for a rescue package as it grappled with a 30-year high inflation rate and fast-depleting reserves that were barely enough to cover nine weeks of import bills. The IMF is set to approve a 11.35 billion-dollar loan later this month. AFP PHOTO/ARIF ALI (Photo credit should read Arif Ali/AFP/Getty Images)
A Pakistani cobbler shines a pair of shoes in front of the western film posters on a roadside in Lahore on May 14, 2010. Pakistan approached the International Monetary Fund (IMF) in 2008 for a rescue package as it grappled with a 30-year high inflation rate and fast-depleting reserves that were barely enough to cover nine weeks of import bills. The IMF is set to approve a 11.35 billion-dollar loan later this month. AFP PHOTO/ARIF ALI (Photo credit should read Arif Ali/AFP/Getty Images)

È accaduto nei settori più vari, che alcuni vecchi ed esperti cultori della materia abbiano attaccato internet per come ha trasformato l’approccio a quei settori: non si leggono più libri, la lettura è spezzettata, diventiamo più stupidi, la qualità della musica peggiora, il giornalismo è superficiale e frammentato, perdiamo applicazione e concentrazione. E oggi sulla Lettura del Corriere della Sera il critico Paolo Mereghetti declina le stesse preoccupazioni sul cinema e la passione per il cinema, che gli sembra diventata un’altra cosa rispetto “ai tempi di Ombre Rosse“: e se è vero che simili riflessioni dovrebbero essere in grado di scendere a patti col radicale cambiamento dei tempi, Mereghetti ci mette dentro comunque temi e valutazioni competenti alla discussione.

C’è tutto su YouTube, si sente dire spesso, e forse è vero ma nessuno sembra preoccuparsi di come è quel benedetto «tutto»: a bocconi, a francobolli, a mosaico, secondo la logica (mortifera) del pezzo d’antologia, della battuta da ricordare, della classifica. Che fine ha fatto l’atto della visione, quel processo totale e totalizzante che mette lo spettatore di fronte all’interezza di un’opera, al suo ritmo, al suo andamento altalenante, a volte lento a volte concitato a volte rilassante e altre ancora adrenalinico? Anche in Pulp Fiction ci sono i tempi morti, i momenti di raccordo, le «deviazioni» dalla retta via narrativa, ma su YouTube (e nel vissuto di questi web-cinefili) spariscono. Come se uno della Cappella Sistina guardasse solo la mano di Dio che crea Adamo o pensasse di conoscere la Divina Commedia perché sa a memoria l’episodio del Conte Ugolino. Come se — e questa potrebbe essere la considerazione che fa più paura — la logica parcellizzata della televisione, con i suoi arresti pubblicitari e i suoi momenti di stanca, avesse vinto su tutto. Imponendo nuovi modi di visione ma anche un nuovo modo di guardare e di pensare alle immagini. Un modo migliore? Lasciatemi qualche dubbio.

(leggi per intero sulla Lettura)