La strage di Peteano, 40 anni fa

Morirono tre giovani carabinieri, uccisi da un attentato fascista coperto per anni da accorti depistaggi da parte dello Stato

Il 31 maggio vicino a Peteano, in provincia di Gorizia, tre carabinieri tra 23 e 33 anni morirono nell’esplosione di un’automobile verso cui erano stati attirati da una telefonata anonima. Fu uno dei drammatici episodi della violenza degli anni Settanta e in particolare di quella collaborazione tra terroristi di destra e apparati dello Stato che va sotto il nome di “Strategia della tensione”. E forse l’unico su cui oggi sappiamo tutto.
Tre anni fa sul sito Nazione Indiana quella storia fu raccontata con accuratezza in tutte le sue evoluzioni da Manuela Vittorelli.

Gorizia, 1972, ultimi giorni di maggio.
Budicin Giorgio, ventisette anni. Sarebbe stato un bravo calciatore, ma l’hanno rovinato l’amore per la vita comoda, per le belle macchine e per le moto. Fa il rappresentante per Gorizia e Trieste per conto di un’azienda del settore anti-infortunistico.
Il 27 maggio Budicin, che ormai vive a Verona, arriva a Gorizia per lavoro e per giocare una partita di calcio in un torneo tra bar. Va all’albergo Transalpina, si cambia, esce in tuta e scarpe da ginnastica. Ma è in ritardo, può giocare soltanto un tempo. La partita finisce due a due. Il campo non è attrezzato con docce e spogliatoi e Budicin torna in albergo con le scarpe ancora sporche di terra e le lava nel lavandino.
Le tre sere successive Budicin le trascorre con amici in un night di Nova Gorica. La sera del 31 cena e poi si mette a guardare la finale di Coppa Campioni, Ajax-Inter. Finita la partita fa un giro e infine va a letto.
Il mattino dopo si sente chiamare. Sotto c’è il suo amico Maurizio che gli grida: “Ciò, mona, te ga visto i tuoi amici? I li ga fati saltàr”.

Larocca Furio, ventotto anni, sposato da poco, un figlio. Lavora malvolentieri in un bar del cognato, a Tarcento, vicino a Udine. Ha fatto anche l’imbianchino e il carrozziere.
Quel mese di maggio va a lezioni di guida per prendere la patente da camionista e la sera torna a casa presto perché è già stato denunciato per lite e non vuole guai. Così fa anche la sera del 31 maggio. Sul primo c’è Ajax-Inter, ma sua madre insiste per guardare il film sul secondo.
Il mattino dopo gli dice: “Visto cossa che xe successo? Meno mal che te ieri a casa soto i miei oci!” E lui risponde: “Ma cossa te va a pensar?”

Gianni Mezzorana, ventinove anni, imbianchino. Timidissimo, molto miope. Non è sposato. Appartenente alla malavita locale, dicono i carabinieri, in realtà un ambiente di ladruncoli, balordi e piccoli delinquenti.
La sera del 31 maggio è a casa di sua sorella Maria, perché il suo televisore non funziona e vuole vedersi la partita in pace, non in un bar. C’è un’amica di Maria, che vorrebbe guardare il film sul secondo. I due discutono. Finita la partita Gianni torna a casa a dormire.
Il mattino dopo va a comprare il Piccolo, ma il giornalaio gli dice che è già finito. “Perché?” domanda lui. “Xe successo qualcossa de grave”. Allora lui compra il Messaggero.

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