Si è ripresa l’Islanda

Anche se il futuro è ancora da sistemare, ci sono lezioni sullo stare dentro o fuori dall'euro

OLIVIER MORIN/AFP/GettyImages)
OLIVIER MORIN/AFP/GettyImages)

Ieri il Wall Street Journal ha pubblicato un lungo reportage dall’Islanda che racconta la ripresa economica del paese dopo la grave crisi finanziaria del 2008. Oltre a descrivere la situazione attuale, il Wall Street Journal prova a capire quanto potrà durare questa ripresa e soprattutto la paragona alla crisi dei paesi europei attualmente più in difficoltà come Grecia e Spagna e a quella dei paesi che già avrebbero già superato le difficoltà più grandi, come l’Irlanda. Tutti paesi che, a differenza dell’Islanda, hanno adottato negli anni scorsi l’euro.

Fonte: The Wall Street Journal (Il PIL dell'Islanda negli ultimi anni)

I problemi dell’Islanda sono cominciati tra 2008 e 2009, quando c’è stato il crollo a catena di tre grandi banche, la Kaupthing, la Glitnir e la Landsbanki, che ha provocato un’implosione finanziaria, le dimissioni dell’ex premier Geir Hilmar Haarde (che è stato anche processato per “negligenza” nella crisi, poi assolto) e la conseguente crisi economica nel paese, caratterizzata da una forte inflazione e perdita di posti di lavoro. Dopo il prestito del Fondo Monetario Internazionale (FMI) da 2,1 miliardi di dollari, tuttavia, oggi l’Islanda sembra essere sulla strada del risanamento, soprattutto grazie alla svalutazione della sua moneta, la corona.

Secondo stime dell’OCSE il PIL islandese crescerà del 2,4 per cento nel 2012, dopo il 2,9 per cento dell’anno scorso che ha interrotto la recessione. La disoccupazione dovrebbe scendere al 6,1 per cento nel 2012 – l’anno scorso era al 7 – e al 5,3 nel 2013. Anche l’emigrazione all’estero è in calo. L’Islanda, scrive il Wall Street Journal, “grazie alla sua banca centrale autonoma, alle sue decisioni autonome e alla sua valuta ha avuto margini di manovra che i paesi dell’euro possono solo sognarsi. Il suo successo è un grande esempio per capire a cosa hanno rinunciato questi paesi per entrare nell’unione monetaria. E forse è un esempio di cosa potrebbero fare se la abbandonassero”.

Fonte: The Wall Street Journal (da sinistra il valore della corona islandese rispetto al dollaro e la bilancia commerciale islandese negli ultimi anni)

La svalutazione della corona ha facilitato decisamente le esportazioni e il turismo (+16 per cento del 2010, +51 per cento rispetto al 2005). Inoltre, i consumi sono rimasti più o meno stabili. Questo è stato possibile anche grazie a politiche di espansione della spesa, soprattutto per le persone più in difficoltà, per non far calare i consumi e la loro capacità di acquisto. In più, le banche in Islanda, a differenza dell’Irlanda, per esempio, sono state fatte fallire e il costo del loro crollo è stato pagato, almeno per ora, dagli investitori stranieri, non dai cittadini islandesi. Inoltre, c’è stato il blocco dei capitali imposto dallo Stato (misura a cui si oppone l’Europa) che dura ancora oggi e che ha evitato fughe di denaro pericolose.

Un’uscita della Grecia dall’euro, sottolinea però il Wall Street Journal, avrebbe comunque effetti traumatici per il paese, nonostante i benefici e l’aumento delle esportazioni che potrebbe causare il ritorno e dunque la svalutazione della dracma. Questo perché, per esempio, se le esportazioni hanno rappresentato l’anno scorso circa il 59 per cento del PIL dell’Islanda, in Grecia hanno rappresentato il 24 per cento del PIL. Se l’Islanda produce energia elettrica e riscaldamento grazie alla sua energia geotermica, la Grecia dovrà continuare a importare energia principalmente dall’estero, come ha fatto sinora, e con una moneta svalutata i costi sarebbero altissimi.

Fonte: The Wall Street Journal (GDP = PIL, Unemployment rate = tasso di disoccupazione)

Certo, l’Islanda è tuttora più povera rispetto a prima del 2008, c’è stato un calo negli investimenti e c’è chi dice che questa ricetta di risanamento non eviterà un declino a lungo termine, tanto che si parla sempre più della necessità di entrare in futuro in una moneta unica, soprattutto per stabilizzare la corona deprezzata e combattere l’inflazione ancora alta, che sia l’euro (per cui ci sono negoziati con l’Europa da tempo) o addirittura il dollaro canadese. Ma altre nazioni in crisi che hanno già adottato l’euro non hanno un futuro così rassicurante come l’Islanda, che tra l’altro ha cominciato a ripagare le rate del prestito ricevuto dal Fondo Monetario Internazionale già lo scorso marzo, ossia prima del previsto.

foto: OLIVIER MORIN/AFP/GettyImages