Lo Spiegel e i problemi della Germania

Il settimanale ha pubblicato uno speciale molto critico sulla situazione sociale del paese, nonostante i buoni dati economici e la disoccupazione sempre minore

(AP Photo/Frank Augstein)
(AP Photo/Frank Augstein)

Mentre molti paesi in Europa sono in grande difficoltà, l’economia tedesca è sempre in ottima salute, nonostante la crisi. Gli ultimi dati, soprattutto se confrontati a quelli dei paesi vicini, sono confortanti, tanto che, per fare qualche esempio, le stime della Banca centrale parlano di una crescita per la Germania pari allo 0,7 per cento nel 2012 e dell’1,6 per cento nel 2013. Inoltre, il numero di disoccupati in Germania è sceso a quota 3 milioni e, come scriveva qualche giorno fa il settimanale Focus, le offerte di primo impiego sono superiori alle domande di lavoro in molti stati tedeschi.

Differenza tra profitti delle aziende e aumento degli stipendi ai dipendenti in Germania (fonte: Der Spiegel)

Il lato oscuro dell’economia tedesca
Eppure, scrive lo Spiegel, in pochi parlano del “lato oscuro” dell’economia tedesca, apparentemente così in salute. In un lungo articolo pubblicato sull’ultimo numero, il settimanale scrive che in realtà non tutti i lavoratori beneficiano dei proventi che genera questa crescita, e che milioni di tedeschi, al contrario, hanno salari pressoché bloccati. Molti di loro, inoltre, vengono assunti con contratti a termine che hanno creato in questi anni milioni di precari, con pochissime possibilità di essere assunti a tempo indeterminato (nel primo anno questa possibilità è inferiore al 10 per cento) e basse retribuzioni.

Lo Spiegel fa l’esempio dell’Audi, che è controllata da Volkswagen. Nei primi 3 mesi del 2012, nonostante la crisi europea, Volkswagen ha registrato un aumento degli utili di oltre il 10 per cento rispetto all’anno passato, pari a 3,2 miliardi di euro (le vendite sono aumentate del 9,6 per cento, raggiungendo il livello record di 2,16 milioni di unità). Citando esempi concreti, lo Spiegel fa notare che in Audi ci sono quattro gruppi piuttosto distinti di lavoratori. I primi due, i dirigenti e i colletti bianchi (insieme ai lavoratori più anziani) guadagnano sempre di più, hanno bonus in relazione ai guadagni dell’impresa e tutti i contribuiti e le assicurazioni sociali del caso. Le altre due classi di lavoratori (ovvero la parte degli operai e dei lavoratori nell’amministrazione che è composta spesso da giovani, assunti part-time o a tempo pieno, ma con contratti a tempo determinato) hanno salari che scendono anche a 800 euro al mese e non ricevono alcun bonus dall’azienda.

(Il successo di Volkswagen)

Dall'alto: variazioni di lavoratori full-time, lavoratori part-time, contratti non tradizionali per dipendenti, contratti non tradizionali per giovani (fonte: Der Spiegel)

La precarietà in Germania
Insomma, secondo lo Spiegel, il mito della “prosperità per tutti”, ossia il credo del primo ministro dell’economia tedesco dopo la Seconda Guerra mondiale, Ludwig Erhard, non corrisponde alla realtà nella Germania di oggi. Solo il 9 per cento delle aziende tedesche ha accordi con i dipendenti per quanto riguarda la condivisione dei bonus aziendali. Gerhard Bosche dell’università di Duisburg-Essen sostiene che negli ultimi anni “in nessun altro paese d’Europa è cresciuta così tanto l’ingiustizia sociale come in Germania”. Lo Spiegel individua tre classi di lavoratori nella Germania di oggi, in una piccola piramide: 1) i dirigenti delle imprese, in cima; 2) i colletti bianchi e i lavoratori qualificati, a metà; 3) in fondo, infine, i lavoratori che, nonostante la crescita dell’economia tedesca, spesso guadagnano meno di dieci anni fa: questi sono per esempio i commercianti, i cuochi, i camerieri e gli insegnanti.

Il problema principale, secondo lo Spiegel, è che, come accaduto in Italia, la svolta della flessibilità dello scorso decennio è spesso diventata precarietà, caratterizzata da poche sicurezze e salari più bassi rispetto ai colleghi che fanno lo stesso lavoro ma che hanno un contratto a tempo indeterminato. Il punto di svolta, in questo senso, è stato nel 2003, quando la Germania ha deregolamentato molto il mercato del lavoro a tempo determinato: allora i lavoratori “precari” erano 300 mila, oggi sono circa un milione. Il risultato è evidente in un dato: se nel 2010 un lavoratore a tempo indeterminato con contributi e le altre assicurazioni guadagnava in media 2.700 euro, quelli a tempo determinato ne prendevano 1.400.

Non solo: secondo il gruppo di studio IAQ di Duisburg, oggi circa 8 milioni di lavoratori in Germania guadagnano circa 9 euro all’ora, mentre altri 1,4 milioni di lavoratori addirittura meno di 5 euro all’ora. Inoltre, negli ultimi anni è cresciuto decisamente il divario tra i salari dei lavoratori più qualificati e quelli dei lavoratori meno qualificati.

Differenza tra i salari dei lavoratori a tempo determinato (in rosso) e quelli dei lavoratori in generale (in blu) in Germania (fonte: Der Spiegel)

Il problema dei sindacati
I sindacati tradizionali, intanto, sono in grossa difficoltà e non riescono a rappresentare a pieno, scrive lo Spiegel, i bisogni dei lavoratori più svantaggiati e precari. A dir la verità, grandi sindacati come Ver.di (sindacato dei servizi) e IG Metall (che rappresenta 3,5 milioni di salariati nei settori del metallurgico, delle macchine utensili e dell’automobile) stanno cercando di lottare contro le grandi aziende affinché queste aumentino i salari e proteggano i lavoratori più deboli cercando di far approvare contratti collettivi a difesa di questi lavoratori, ricorrendo anche allo sciopero, come successo alcune volte negli ultimi mesi.

Allo stesso tempo però, secondo un vecchio principio di solidarietà in Germania, i sindacati devono cercare di proteggere le aziende e le industrie più deboli, senza forzare troppo la mano con le loro richieste. Anche per questo, altre sigle sindacali “di nicchia” o specializzate in piccoli settori stanno cercando di rubar loro sempre più iscritti, mettendo però in questo modo a repentaglio quell’equilibrio, almeno fino a qualche anno fa, del mercato del lavoro tedesco. Non a caso, Justus Haucap, economista all’università Heinrich Heine di Düsseldorf, ha detto che in questo modo, con questa sorta di lotta tra sindacati (e lavoratori), “la torta dei salari” si restringerà e non si allargherà in Germania.

Le soluzioni dello Spiegel
Date tutte queste premesse, scrive lo Spiegel, il divario tra coloro che usufruiscono dei proventi della crescita dell’economia tedesca e quelli che invece vi contribuiscono ma non ci guadagnano niente sarà sempre più ampio. Il governo tedesco, dunque, dovrebbe fare l’opposto di quello che ha fatto dieci anni fa, quando l’economia era ferma e aveva bisogno di stimoli e competitività. Oggi, l’obiettivo è l’opposto: bisogna garantire più diritti a tutti e ridurre il divario tra ricchi e poveri.

Secondo lo Spiegel, è necessario introdurre il salario minimo in ogni settore lavorativo a 8,50 euro l’ora e aumentare le tasse ai più ricchi, al contrario di quello che hanno fatto negli ultimi decenni sia i cristianodemocratici, con Helmut Kohl, sia i socialdemocratici con Gerhard Schröder. Il ruolo di difesa dei diritti dei lavoratori non può più essere lasciato solo ai sindacati. Ci vogliono nuove, radicali riforme politiche, scrive lo Spiegel, affinché in Germania possa essere garantita quell’equità sociale sempre più in bilico negli ultimi anni.

nella foto: operai tedeschi di una fabbrica di Colonia, in Germania (AP Photo/Frank Augstein)