Scelte popolari

Quand'è che che questo governo si comporterà all'altezza di se stesso e ci darà qualcosa in cambio della fiducia che chiede?

Il governo Monti venne a suo tempo diffusamente invocato, persino dai responsabili stessi dei partiti, per mettere mano a interventi drastici sull’economia che i partiti non erano in grado – per inadeguatezza di competenze e dipendenza dal consenso – di attuare. “Scelte impopolari”, si disse molto: ci vuole qualcuno capace di scelte impopolari.

Oggi il governo Monti si è dimostrato all’altezza di quella richiesta: da diverse settimane, a cominciare dalla riforma del Lavoro, ci vengono annunciati iniziative e progetti di cui faremmo volentieri a meno, in un mondo ideale. Se il governo Monti mantiene ancora un cospicuo capitale di consenso è perché a molti italiani è chiaro che il suo mandato era soprattutto quello di mettere delle dolorose pezze su una situazione disastrosa e ineludibile: per la quale non esistono soluzioni gratuite.

Ma il bilancio non si esaurisce qui, e infatti è evidente che il famoso capitale di consenso sta venendo consumato. Una prima ragione è che non tutti gli italiani hanno così chiaro il rapporto tra l’espressione “scelte impopolari” e la sua concretizzazione: scelte impopolari significa scelte impopolari, non sono solo due parole. Una seconda ragione è che ci sono state goffaggini ed esitazioni nel condurre le suddette scelte, e in diversi casi – le liberalizzazioni, la riforma del lavoro – la famosa indipendenza del governo nel portare avanti i suoi progetti è sembrata vacillare, e ha partorito risultati che sembrano scontentare tutti senza mostrare grandi prospettive rivoluzionarie dello status quo.

Una terza ragione è la più importante e quella su cui un governo di persone lungimiranti e intelligenti appare più incomprensibilmente svampito: la totale mancanza di progetti di più ampia visione non solo tappabuchi e l’incapacità di accompagnare la severa politica economica a scelte “popolari”. È inevitabile che il consenso cali, anche tra i cittadini più rispettosi della difficoltà di quel mandato, se l’opportunità di distinguersi dalle inconcludenti (quando non peggio) maggioranze precedenti non venga sfruttata in nessun modo rassicurante.

Quello condotto da Mario Monti è un governo, legittimo, e nei pieni poteri. A oggi non ha mostrato nessun interesse a occuparsi prioritariamente della scuola e della ricerca, che qualunque analisi giudica fondamentali per la ripresa non solo economica del paese; a oggi è molto indietro nella costruzione di un progetto di riforma della giustizia che affronti i suoi disastri più sentiti dai cittadini; a oggi non sembra avere le idee chiare su una riforma fiscale che non solo redistribuisca più equamente la ricchezza e i servizi ai cittadini ma renda meno difficile l’innovazione imprenditoriale e semplifichi le procedure dei rapporti col fisco; a oggi non ha preso nessuna iniziativa sul fronte dei tagli ai costi della politica, rimettendosi pilatescamente alle prevedibili resistenze dei partiti, e si sta completamente defilando sulla questione dei rimborsi elettorali; a oggi non sta facendo valere in nessun modo il proprio ruolo rispetto alla richiestissima riforma della legge elettorale; a oggi non ritiene affar proprio intervenire con un progetto sul conflitto di interessi, che era stato uno dei principali fattori di disastro del governo precedente; a oggi ha fatto sparire sotto il tappeto le promesse pubbliche di Mario Monti di intervenire sulla Rai con un piano di ripristino del servizio pubblico di qualche tipo.

Sono temi diversi, si potrà obiettare, e non tutti di precipua pertinenza del governo nella loro concretizzazione. Ma sarebbe un alibi indulgente quello che permetta al governo di potersi dire estraneo a indicazioni e intenzioni anche sui temi su cui debba intervenire il parlamento: il governo ha potere di contrattazione con i partiti – che peraltro lo sostengono – e ha dimostrato in più di un’occasione di volerlo fare pesare. Anche perché è nel suo interesse, ci arriviamo.

C’è una ragione per cui tutte queste cose andrebbero prese in mano come priorità da qualunque governo, ed è che costituiscono il bene comune e partecipano di un progetto di ricostruzione del paese (anche senza arrivare al benintenzionato “rivoltare lo Stato come un calzino” auspicato da Michele Boldrin) che è quello di cui l’Italia ha bisogno forse persino di più del risanamento di conti pronti a marcire di nuovo domani, se non cambiano le cose. Ma un governo che chieda sacrifici e pazienza e fiducia ne ha una ulteriore, di ragione per interventi su questi temi: che non si possono chiedere sacrifici e pazienza e fiducia senza dare niente in cambio, senza confermarci che ne vale la pena, senza convincerci che siamo dentro a un cambiamento più solido e di cui si vedano, intravedano, dei frutti. Come scriveva pochi giorni fa anche Dario Di Vico sulla prima pagina del Corriere:

Urge, dunque, una correzione di rotta di metodo e di merito. Agli italiani va data la sensazione piena che quello che sta chiedendo loro lacrime e sangue è il governo di Roma e non di Bruxelles.

Perché se stanno lì solo a mettere delle pezze prima di restituirci a quello che c’era prima, beh, grazie: ma ci aspettiamo di più, e non li ricorderemo per questo.

Monti, sei tutti noi? (2011)