Come Facebook collabora con la polizia

I fogli che il social network consegna alle autorità durante le indagini, visti attraverso il caso americano del presunto assassino Philip Markoff

Un blog del settimanale Boston Phoenix riporta una storia che mostra cosa succede quando le autorità giudiziarie o di polizia chiedono a Facebook i dati di un utente sotto indagine. Il caso è quello di Philip Markoff, un giovane studente di medicina dell’università di Boston accusato di aver ucciso il 14 aprile 2009 la 25enne Julissa Brisman, una massaggiatrice che aveva contattato dal servizio di annunci online “Craigslist”. Markoff era stato soprannominato “Craigslist killer” proprio perché tramite Craigslist aveva conosciuto Brisman e almeno altre due persone che poi sarebbero state rapinate da Markoff. Markoff si è suicidato nel carcere Nashua Street di Boston il 15 agosto 2010, mentre era in attesa di giudizio.

La polizia di Boston, durante le indagini, aveva tra le altre cose setacciato amicizie e conoscenze di Markoff, anche tramite Facebook. Proprio per questo la polizia aveva chiesto a Facebook di passarle tutti i dati relativi all’account di Markoff: tecnicamente si chiama subpoena, cioè l’ordine a un ente o a una società di produrre oggetti o documenti riguardo persone incriminate dalla polizia. Facebook non si è opposta e ha fornito, su carta stampata, tutti i dati di Markoff, dagli amici che aveva sul social network alle foto in cui era stato taggato, da quante volte aveva fatto login ai dati del suo indirizzo IP e così via. La polizia di Boston ha successivamente pubblicato tutti i documenti passati da Facebook, scrive il Boston Phoenix, senza oscurare i nomi delle persone che conosceva Markoff. Una grave mancanza a cui successivamente ha rimediato il settimanale per difendere la privacy delle persone che conoscevano Markoff ma che non c’entravano nulla con il caso dell’omicidio di Brisman.

Come scrive il Boston Phoenix, Facebook per il momento è stata piuttosto restia a rendere noti i casi in cui ha fornito dati sensibili alla polizia nell’ambito dei subpoena e finora non erano mai stati pubblicati simili documenti in versione integrale. Secondo alcuni, la diffusione dei dati dei social network negli Stati Uniti sarebbe protetta dal cosiddetto Stored Communications Act, una legge del 1986.