• Libri
  • Giovedì 8 marzo 2012

I quartieri di Zuccotti Park

Il racconto della vita e delle dinamiche nell'accampamento di Occupy Wall Street, in un libro appena uscito sulla storia del movimento

di Scrittori per il 99%

Demonstrators with 'Occupy Wall Street' continue their protest at Zuccotti Park in New York on October 20, 2011. The encampment in the financial district of New York City is now in its second month. The demonstrators are protesting bank bailouts, foreclosures and high unemployment. AFP PHOTO / TIMOTHY A. CLARY (Photo credit should read TIMOTHY A. CLARY/AFP/Getty Images)
Demonstrators with 'Occupy Wall Street' continue their protest at Zuccotti Park in New York on October 20, 2011. The encampment in the financial district of New York City is now in its second month. The demonstrators are protesting bank bailouts, foreclosures and high unemployment. AFP PHOTO / TIMOTHY A. CLARY (Photo credit should read TIMOTHY A. CLARY/AFP/Getty Images)

Occupy Wall Street si è conquistata la fama, sulla stampa, di non avere un messaggio unico o un unico insieme di richieste, e di avere invece abbracciato la varietà di opinioni difese dai suoi molti, diversi sostenitori.

C’erano atteggiamenti fra loro incoerenti: accanto ai nemici giurati della Federal Reserve, che sostengono Ron Paul, e che erano ben visibili con i loro cartelli “End the Fed”, “Chiudiamo la Fed”, sul lato di Liberty Plaza che dà su Broadway, c’erano altri per i quali invece la Federal Reserve deve essere certo riformata, ma non va abolita.
Zuccotti Park ospita sia chi propone riforme specifiche come la reintroduzione del Glass-Steagall Act, sia rivoluzionari che vogliono l’abbattimento totale del capitalismo, o un’anarchica abolizione di ogni gerarchia nel governo e nella società americana.

Con la progressiva evoluzione dell’occupazione a Liberty Plaza queste differenze (diventate alla fine delle divisioni) hanno avuto una loro identificazione anche nella topografia della piazza e nell’esperienza vissuta da quanti dormivano nel parco, in particolare dopo che avevano cominciato a spuntare le tende verso la fine di ottobre e agli inizi di novembre. Anche se le divisioni non erano nettissime, la piazza ha cominciato a dividersi geograficamente e si sono venute a creare due zone distinte: orientale e occidentale.

Per molti aspetti, il parco era un tutto coeso: nonostante la varietà degli obiettivi ultimi dei diversi sostenitori di Ows, ogni persona coinvolta nell’azione concordava sulla necessità di un cambiamento. In termini di condizioni di vita, con il progressivo aumentare del numero delle persone che rimanevano tutta la notte, la piazza ha finito per diventare affollata e lo spazio ha cominciato a scarseggiare.

Si notava però che, con il procedere dell’occupazione, le estremità orientale e occidentale della piazza andavano assumendo un aspetto sempre più differente l’una dall’altra. Rispetto all’estremità orientale, dove si trova la grande statua rossa, quella occidentale risultava più organizzata: le tende da quella parte in genere erano più grandi, offrivano alloggio a gruppi di dimensioni considerevoli, ed erano disposte a distanza ravvicinata in modo che, a partire dai lati della cucina, rimanessero due passaggi liberi fino ai bordi del parco.

Rispetto alle grandi tende dell’estremità occidentale, gran parte della metà orientale del parco era un groviglio impercorribile di piccole tende singole. Anche lì c’erano due passaggi paralleli sui lati, ma in parecchi punti erano notevolmente più stretti e andavano molto più a zig-zag di quelli dalla parte occidentale. Nonostante questo aspetto di caos addensato, nella zona orientale del parco si trovava la maggior parte delle più importanti attività organizzate, fra cui lo spazio media, il centro per la diretta video e la biblioteca popolare, tutte attività ospitate in grandi tende ben indicate.
Per entrare nel parco non c’erano difficoltà dall’estremità orientale, dove ampi scalini scendevano dai marciapiedi di Broadway verso vari punti di ingresso. Gli scalini passavano intorno alla statua rossa, all’angolo sud-est, dove si trovava il “palco popolare” e lungo il lato meridionale della piazza; anche da lì si poteva entrare senza ostacoli, salvo l’occasionale manifestante seduto sui gradini o che dimostrava davanti alla scalinata.

Non era altrettanto facile accedere dall’estremità occidentale: in gran parte era transennata dalla polizia e molti manifestanti stavano seduti sui gradini che salivano al parco, che in quel punto è più in alto rispetto al livello della strada, e questo ostacola l’ingresso. Nell’angolo sudovest una serie di tende bloccava un breve sentiero, creando una via senza uscita e impedendo l’accesso a uno dei passaggi principali.
Di conseguenza, l’unica via di accesso da quel lato del parco passava per l’angolo nord-ovest, dove il visitatore era accolto da un’immagine di forte contrasto, di un genere del tutto peculiare a Occupy Wall Street: proprio di fronte allo spazio per la meditazione, una pedana intorno a un albero, ornata di bruciaincenso e di varie, non meglio identificate, icone e altre decorazioni spirituali, incombeva il traliccio di una torre d’osservazione mobile della polizia di New York, sinistro, costante sguardo da Panopticon sulla vista sottostante.

L’accesso era solo la prima delle differenze fra le due sezioni del parco. Anche se le distinzioni non erano solide e concrete, anche un visitatore casuale poteva sentire le differenze fra la parte orientale e quella occidentale. In generale sembrava che la parte orientale del parco ospitasse i sostenitori del movimento più riformisti e più vicini alla classe media, mentre la parte occidentale ospitava attivisti più vicini alla classe lavoratrice, meno disposti a compromessi politici.

Nella parte orientale del parco si trovavano la biblioteca popolare, il caucus Lbgtq, Información en español e i gruppi di lavoro stampa, relazioni con i media, lo sportello legale e, ovviamente, l’assemblea generale. In parole povere, era dove aveva il quartier generale la maggior parte delle funzioni più importanti del movimento. Nella parte occidentale, invece, erano ospitati gli interventi più apertamente radicali: un tavolo per la riacquisizione di terre per i nativi americani; il “campo lotta di classe”, un gruppo di lavoro anarchico e parecchi altri gruppi rivoluzionari; e i famigerati e chiacchierati percussionisti del Pulse, che suonavano da un palcoscenico di fortuna in cima alla scalinata sul lato occidentale.

Non si trattava semplicemente di differenze di sapore ideologico: potevano generare, e infatti hanno generato, un vero senso di reciproca antipatia fra i “residenti” delle due parti del parco. Descrivendo il suo gruppo, Kv, uno degli organizzatori del “campo lotta di classe”, dichiarava: “Questa parte del campo non è per le riforme. Questa parte è per la rivoluzione, sapete? Non siamo… non abbiamo niente da perdere. Non siamo ragazzini liberal dei college. Non vogliamo aggiustare il sistema, vogliamo fottutamente bruciarlo fino alle fondamenta”. KV è passato a criticare quegli stessi “ragazzini liberal dei college” perché tornavano a dormire nelle loro stanze la sera e raccontava come, una volta, visitando la zona orientale del parco alla ricerca di un evento di “microfono aperto”, si era sentito dire che l’organizzatore non era lì al momento, era “nel ghetto” – solo per scoprire che “nel ghetto” voleva dire la sua parte del parco, “vicino a ‘lotta di classe’”.

Il disprezzo poteva andare anche in direzione opposta. Daniel Levine, che ha contribuito a fondare lo “sportello informativo est”, in cima alla scalinata sul lato orientale del parco, si adatta perfettamente alla caratterizzazione che KV faceva dei manifestanti della parte orientale: Levine è un ventiduenne studente del Baruch College che, invece di accamparsi nel parco, la sera tornava a dormire nel suo appartamento a Brooklyn. “La parte occidentale,” dice Levine, “a volte diventa proprio sgradevole. Conosco qualcuno di quelli che si occupano dei servizi igienici e mi dicono che di solito è lì che ci sono zuffe e spacciatori”; per Levine era la sede degli “elementi più trasandati”, e la parte occidentale era vista come un posto in cui non era possibile desiderare di passare del tempo, a causa dei “percussionisti, che non sanno suonare. In genere sembra di sentire qualcuno che bussa a una porta molto forte e per un sacco di tempo” e a causa di una esasperante concentrazione di “fottuti hippy che vogliono suonare The Times They Are A-Changin’ diciotto volte di fila davanti al tavolo”.

Nonostante questi atteggiamenti, Levine non dava molto credito all’immagine di una divisione fra est e ovest del parco basata specificamente su ragioni politiche, e la definiva “una posizione interessante”. Secondo lui, invece, il posto che ciascuno sceglieva era determinato non tanto da grandi ideali ma, più pragmaticamente, da dove si trovava di volta in volta il tavolo che distribuiva le sigarette gratis.
L’asse est-ovest non era affatto l’unico asse di divisione emerso nel corso dei primi due mesi. Quello socio-economico è diventato evidente nel parco in relazione ai problemi igienici. Gli occupanti appartenenti alla classe media, con un livello di istruzione più alto, avevano in genere amici, o amici di amici, con un appartamento non molto distante: questi contatti rendevano loro possibile un facile accesso a un bagno o anche a un letto in cui rimettersi in sesto quando sentivano il bisogno di allontanarsi un po’ dall’occupazione. Gli accampati con un grado di istruzione più basso, più poveri e più problematici erano, invece, privi di ogni sostegno: anche gli attivisti della commissione “comfort” non sempre riuscivano a immaginare come poterli aiutare.

Quando alcuni residenti della zona che nutrivano simpatia per il movimento si sono offerti di ospitare per una doccia gli occupanti, i membri della commissione comfort hanno deciso di indirizzare alle abitazioni (di classe media) solo quelli che pensavano si sarebbero comportati in modo “educato” e “rispettoso” e che non facevano uso di droghe. Le persone più organizzate e con un capitale culturale avevano così migliori possibilità di curare la propria igiene; altri, non altrettanto fortunati (probabilmente fra gli “elementi più trasandati” della parte occidentale), avevano meno possibilità di farsi almeno una doccia.
Anche le aree dell’occupazione destinate al sonno si sono progressivamente differenziate per classe e razza. Un giovane occupante latinoamericano, David, raccontava che la parte nord-est del parco era piena di persone bene istruite e prevalentemente bianche, con un accampamento per la notte che si autodefiniva “i sacchi dell’Upper East Side”, mentre nella parte sud-ovest di Zuccotti Park si trovavano “solo neri e latinos”. Le divisioni erano “proprio come New York”, notava David.

Il fattore di divisione più grave erano però le divergenze di opinione fra gli occupanti in merito all’assemblea generale e alle sue decisioni. Nonostante la struttura palesemente basata sul consenso, agli occhi di alcuni, in particolare fra i residenti della metà occidentale del parco, l’assemblea generale non era un organismo davvero rappresentativo della totalità degli occupanti del parco a tempo pieno.
Fra gli occupanti della parte occidentale di Zuccotti Park avversi all’assemblea generale, un punto di frizione forte è stata l’introduzione, decisa dall’assemblea, di grandi tende di tipo militare, inizialmente per dare alle donne che si sentivano minacciate uno spazio in cui dormire tranquille: KH del “campo lotta di classe” temeva che, nonostante le finalità originali di quelle tende, il loro uso si sarebbe diffuso e avrebbero scalzato quelle usate fino ad allora dagli occupanti, dando al parco l’aspetto sgradevole di una caserma.

Un’anonima ragazza, poco più che ventenne, era convinta dell’imminenza di una decisione dell’assemblea generale che avrebbe costretto gli occupanti a trasferirsi nelle tende militari, ed esprimeva una seria preoccupazione per i possibili rischi che vedeva nel condividere una tenda simile con un gran numero di estranei, oltre al timore di non riuscire, in quelle condizioni, a prendersi cura del suo gattino. Secondo lei, inoltre, l’assemblea generale non aveva alcuna autorità per dire agli occupanti che cosa fare: “Quelle fighette dell’assemblea generale neanche dormono qui,” accusava, “e allora come possono andare in giro e venire a dire, a noi che viviamo qui, come viverci?”.

Derrick, un altro occupante, a cui aveva espresso queste preoccupazioni, confermava di condividerle. Per parte sua, KV diceva anche che, a differenza di quelli che partecipavano all’assemblea generale, lui non poteva seguire quelle riunioni serali perché era impegnato a “tenere [il suo] campo”, e definiva “una stronzata” il modello di consenso dell’assemblea, perché, come diceva, “solo perché non posso partecipare… non vuol dire che non ho una voce, e se voglio obiettare devo poterlo fare proprio adesso e dire ‘andate a farvi fottere’”. Fra questi manifestanti cresceva un senso di autenticità rivoluzionaria, la sensazione che non tutti nell’accampamento di Liberty Plaza avessero lo stesso livello di coinvolgimento nella protesta e che quindi non tutti avessero lo stesso diritto di far sentire la propria voce.

Queste erano solo alcune delle fratture che si andavano allargando all’interno della diversificata comunità residente a Zuccotti Park. Sono venute alla luce anche altre lamentele nei confronti dell’assemblea generale: a un certo punto, i “controlli microfono” sono entrati in conflitto con le percussioni dei Pulse, e la cosa ha portato a un confronto molto teso fra i due gruppi, che alla fine è stato disinnescato solo grazie all’intervento del corpo dei mediatori del movimento. In qualche caso anche degli illeciti hanno portato a episodi sgradevoli, come quando Dan Levine ha scoperto che il gruppo che rollava le sigarette, “Nick at Nite”, intascava denaro del movimento, il che ha portato alla cancellazione del gruppo. Occupy Wall Street, un’azione intenzionalmente diversificata e inclusiva, doveva sempre di più confrontarsi, al suo interno, con le divisioni che permeano la società in generale.

© 2012 Writers for the 99%
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

 

Esce oggi per Feltrinelli Occupy Wall Street, che racconta i problemi, le modalità organizzative, le dinamiche interne e il modo di fare politica del movimento nato a settembre del 2011 e la vita all’interno dell’accampamento di Zuccotti Park a New York, rimasto in piedi per circa tre mesi.

Il libro si basa sui racconti di chi c’era, ed è il risultato della collaborazione di circa sessanta persone (studenti e insegnanti, scrittori e artisti, donne, uomini, vecchi e giovani) che sono membri attivi del movimento o lo sostengono, e si sono dati il nome di Scrittori per il 99%.