Un po’ di canzoni di Lucio Dalla

Per condividere: oggi tutti avrete le vostre

di Luca Sofri

Lucio Dalla ha una sua poetica sincera e indipendente. È stato uno dei più popolari cantautori dell’era dei cantautori, ma non si è mai venduto come duro e puro, né ha mai trasmesso un’immagine solenne o inquieta. Si è sempre fatto i fatti suoi, cantando quello che gli pareva e senza curarsi mai di vendersi come emblema o mito da magliette, né di contenere le sue ebbrezze. E intanto scriveva canzoni bellissime e versi memorabili. Quando ha visto che non gli venivano più memorabili come una volta, si è fatto da parte senza neanche pubblicare inutili live per fare cassa.
(da Playlist, 2008)

“Il cielo”
(Europa, 1967)
Nel 1967 vinse il premio della critica a un concorso musicale romano del tempo, il Festival delle rose. Si svolgeva all’Hotel Hilton, e la leggenda vuole che i portieri gli abbiano impedito di partecipare alla serata finale perché non aveva un aspetto presentabile: ovvero aveva il suo aspetto normale. L’arrangiamento in effetti è molto festivaliero, ma a contrasto con lui ci sta anche bene. Non si capisce perché canti come se fosse Wilson Pickett con problemi di pronuncia dell’italiano, ma la progressione della canzone è davvero bella.

“Itaca”
(Storie di casa mia, 1971)
“Capitano che hai negli occhi, il tuo nobile destino, pensi mai al marinaio a cui manca pane e vino?”. Inizia il proficuo rapporto di Dalla con mari, marinai e angiporti, e inizia con una canzone di moderata lotta di classe nautica dal coro buffo e sdrammatizzante, alla Dalla.

“Quale allegria”
(Com’è profondo il mare, 1977)
“Quale allegria, se ti ho cercato per una vita senza trovarti, senza nemmeno avere la soddisfazione di averti, per vederti andare via: quale allegria. Quale allegria, se non riesco neanche più a immaginarti, senza sapere se strisciare se volare, insomma, non so più dove cercarti: quale allegria”. E poi dice “per pazzi sprassolati e un poco scemi”: cosa sia uno “sprassolato”, il presente repertorio non è in grado di spiegarlo.

“Com’è profondo il mare”
(Com’è profondo il mare, 1977)
“Siamo noi, siamo in tanti”. Non è che si debba decidere se e quanto sia bella, se ce ne siano di più belle o no eccetera: è che non l’aveva mai fatta nessuno, una canzone come questa. “Siamo noi, siamo in tanti, ci nascondiamo di notte per paura degli automobilisti, dei linotipisti. Siamo i gatti neri, siamo i cattivi pensieri e non abbiamo da mangiare”. E Dalla aveva appena ricominciato a scrivere testi, dopo la lunga collaborazione con Roberto Roversi.

“Il cucciolo Alfredo”
(Com’è profondo il mare, 1977)
Una canzone raccontata, come sarà anni dopo “Notte”, che le somiglia molto. Contiene l’equivalente musicale del famoso monologo sulla corazzata Potëmkin di Fantozzi: “la musica andina, che noia mortale: sono più di tre anni che si ripete sempre uguale”. Ma anche l’eccezionale “tra le case e i palazzi di una strada d’inferno, si vede una stella tanto bella e violenta che si dovrebbe vergognare”.

“Tango”
(Lucio Dalla, 1978)
È quella con il violino. “Hai più preso il treno?”. È quella con il violino e la fisarmonica. “Fuori era la guerra, nel suo cuore tanto tango da unire il cielo con la terra”.

“Cosa sarà”
(Lucio Dalla, 1978)
Il pezzo di strada complice che hanno fatto assieme Lucio Dalla e Francesco De Gregori è una delle cose più originali, spiritose e vincenti che si sia mai inventata la musica italiana. A vederlo oggi, è evidente che abbia prevalso la leggerezza allegra di Dalla sull’ombrosità austera di De Gregori: Dalla lo mise di buonumore, per un po’. Ne vennero fuori una tournée storica (registrata nel disco Banana republic), “Ma come fanno i marinai” e la bellissima “Cosa sarà”, che racconta – con una costruzione formale originale – di quello che “ci fa lasciare la bicicletta sul muro e camminare la sera, con un amico, a parlare del futuro”: uh!

“Mambo”
(Dalla, 1980)
Lucio Dallae Dallasono i due dischi fratelli del periodo perfetto della carriera di Lucio Dalla: le cose migliori e il maggiore successo. Tra le canzoni meno famose e più belle, il primo aveva “Tango”, e il secondo “Mambo”. La spiritosa e insieme drammatica descrizione della sofferenza per amore è fantastica: “se d’amore è proprio vero che non si muore, cosa faccio nudo per strada mentre piove”; “sono andato al cinema e mi han mandato via, perché piangevo forte e mangiavo la sua fotografia”; “se n’è andata sbattendo la porta e avevo in mezzo la mano”. Ma poi, schiena dritta: “leva il tuo sorriso dalla strada e fai passare la mia malinconia”; “chiedi se qualcuno ti presta la faccia, stai facendo una brutta figura”. E via col sax finale.

“Futura”
(Dalla, 1980)
La parentesi erotico-funky centrale è sempre stata insopportabile, malgrado sia essenziale per l’invenzione di associare l’intimità sessuale alle preoccupazioni sullo stato del mondo: ma rende ancora più meravigliosa la fine del tunnel che si apre subito dopo. E poi c’è “i russi, i russi, gli americani”.

“You’ve got a friend”
(Lucio Dalla, Q disc, 1981)
A un certo punto, la discografia italiana preoccupata di inventarsi qualcosa (tempi felici e spensierati, visti da qui) tirò fuori dal cappello il Q-Disc, che doveva essere la via italiana all’EP britannico, una via di mezzo tra il singolo e l’ellepì. Quattro canzoni, furono fatti alcuni esperimenti, quasi tutti perduti come lacrime nella pioggia. Quello di Dalla conteneva tre discrete ma non immortali canzoni (“Telefonami tra cent’anni”, “Ciao a te”, “Madonna disperazione”) e un divertissement di Dalla allora appassionato di clarinetto: lo standard “You’ve got a friend” di Carole King, strumentale con borbottii. Stupendo per farsi un whisky, o una coca cola, la sera, in terrazza.

“Viaggi organizzati”
(Viaggi organizzati, 1984)
Qui eravamo già in piena china discendente, prima degli ultimi fuochi di classifica – benché imbarazzanti – di “Attenti al lupo”. Parecchia elettronica, ma ancora un grande modo di cantare appoggiandosi sempre sulle sillabe giuste. Questa è una canzone che comincia così: “quando c’erano i cavalli, non si arrivava mai”.

“Apriti cuore”
(Cambio, 1990)
“In questa notte calda di ottobre”, sembra proprio di esserci, mentre lui discute col proprio apparato cardiaco e si rammarica di averlo trascurato, negli ultimi tempi. Non è preoccupato di un infarto, no: vuole solo diventare più buono. “Cambierò!”

“Comunista”
(Cambio, 1990)
Parallelamente a papa Wojtyla – che arrivò a dire che il comunismo era stato un “male necessario” – Lucio Dalla aveva affrontato il tema del confronto tra ideologie e religioni, tra fedi e speranze, tra illusioni di varia natura: “canto l’uomocheèmorto, nonildiocheèrisorto”. L’ultima bella canzone sull’ultimo bel disco.