Tra celebrazioni internazionali seguite da fans appassionati e semplici ammiratori della musica dei Queen, ricorrono oggi i vent’anni dalla morte di Freddie Mercury, leader e cantante della band e suo emblema spettacolare per il quarto di secolo di attività appena raccontato in un libro illustrato. Al Post, con cerimonia altrettanto rituale, partecipiamo all’anniversario con la lista di canzoni dei Queen (e di Mercury solista) scelta da Luca Sofri, peraltro direttore del Post, nel suo libro Playlist.
Queen (1971-1995, Londra, Inghilterra)
Poi a un certo punto Freddie Mercury è morto, malato di Aids, e qualsiasi valutazione sensata dei Queen ha ceduto il passo alla mitizzazione del loro frontman e dei suoi travestimenti. Ma erano bravi, molto bravi; dopo, insopportabilmente barocco-decadenti.
Bohemian rhapsody
(A night at the opera, 1975)
«Rapsodia è il termine con cui in musica si definisce una composizione musicale libera, ovvero una composizione che non segua alcuno schema prestabilito» dice Wikipedia. Io mi immagino che un giorno i Queen siano stati intervistati da uno che non ne sapeva niente e che aveva chiesto «ma cosa sarebbe questo rock sinfonico?». E che loro gli abbiano improvvisato questa canzone, dove succede qualsiasi cosa. Pare che a registrarla, con l’orchestra e tutto, ci abbiano messo tre settimane. Il coro fu realizzato facendo registrare le parti ai membri della band decine di volte. “Galileo, Galileo, Galileo Figarooooooooo! Ma-gni-fico!”. Per evitare di andare a Top of the Pops a cantarla in playback ne fecero un video piuttosto semplice e notturno che è ritenuto il capostipite dei videoclip promozionali. Quando lasciò il primo posto nelle classifiche inglesi, fu rimpiazzata da “Mamma mia” degli Abba: l’espressione “Mamma mia” era anche nel testo di “Bohemian rhapsody” ed evidentemente toccava qualche corda del pubblico britannico.
Negli anni Novanta ne uscì una discreta versione hip-hop a opera di una band meteora, The Braids.
Somebody to love
(A day at the races, 1976)
Festa di canti e controcanti gospel, ascoltare “Somebody to love” è come guardare un bel film al cinema. Brian May spiegò poi che il loro modello era Aretha Franklin. “Non ho il tocco, non ho ritmo, perdo sempre il tempo”, è una discreta dimostrazione di umiltà.
We are the champions
(News of the world, 1977)
“We are the champions” è stata devastata dall’abuso criminale che ne viene fatto negli stadi di tutto il mondo – e in tutto questo, resta fantastica – ma bisognava aspettarselo, e lo stesso Freddie Mercury dichiarò poi di aver avuto in mente esattamente una cosa sportiva, pur mettendoci dell’autobiografica celebrazione dei propri successi: “ma non è stato un letto di rose…”.
We will rock you
(News of the world, 1977)
Anche questa la scrissero pensando di metter su un bel casino col pubblico ai concerti. Andarono in una chiesa sconsacrata e pestarono forte con i piedi e con le mani, creando una roba rock unica e ormai celeberrima. Uscì come lato B di “We are the champions” (diventando un altro classico da eventi sportivi) e sono spesso rimaste associate nelle esecuzioni dal vivo.
Don’t stop me now
(Jazz, 1978)
“Burnin’ through the sky…”. Una delle più grandi canzoni da autoesaltazione della storia del rock, con Mercury scatenato e un pianoforte a pieni polmoni. Un’altra delle loro cose fatte apposta per portarsi via tutto lo stadio nei concerti, ma più pop e solare: “Don’t stop me now, I’m havin’ such a good time, I’m havin’ a ball!”.
Bycicle race
(Jazz, 1978)
Un’altra performance sportiva, questa volta ispirata dal Tour de France, con tanto di campanelli. La strofa è un po’ stressante, ma il refrain beatlesiano è meraviglioso: “bycicle races are coming your way, so forget all your duties, oh yeah!”. Il lato B del 45 giri era “Fat bottomed girls” (che è anche un verso della stessa “Bycicle race”), traducibile con “ragazze culone” (“ragazze culone, siete voi a far girare il mondo del rock!”). Per girare una clip e fare delle foto per la copertina, fu allestito un set con sessantacinque modelle nude in bicicletta.
Save me
(The game, 1980)
Prima che la rivoluzione delle tre “i” ci rendesse tutti anglofoni, in Toscana, dove “tegame” è un’espressione piuttosto volgare usata sovente in segno di disistima nei confronti di persone di sesso femminile, il titolo del 33 giri dei Queen suscitava una certa ilarità. Quanto a “Save me”, è un pezzone scritto dal chitarrista Brian May, il migliore del disco.
Another one bites the dust
(The game, 1980)
Aggressivo e ansioso pezzo funkeggiante scritto, arrangiato e suonato quasi interamente da John Deacon, con un andamento sincopato strano, che o lo ami o lo odi. Roger Taylor, il batterista dei Queen, lo odiava, malgrado sia tutto ritmo. Michael Jackson – che lo sentì in concerto – lo amava, e dalla sua insistenza la band si convinse a farne un singolo. Che diventò il suo più grande successo americano di sempre.
Under pressure
(Hot space, 1982)
Io me lo ricordo, quando si seppe che David Bowie aveva fatto una canzone con i Queen. Fu come se oggi uscisse una canzone di Madonna con i REM. Gli uni e l’altro fanno faville, appassionatamente, e il giro di basso è stato definito il migliore della storia del rock: David Bowie e John Deacon se ne sono sempre attribuiti l’un l’altro la creazione.
Love kills
(Metropolis, 1984)
Da solo, Freddie Mercury fece un paio di cose dance divertenti e molto Giorgio Moroder, con il quale i Queen avevano avuto a che fare per la riedizione di Metropolis di Fritz Lang. Una si chiama “I was born to love you”, e l’altra “Love kills”: questa seconda ha qualcosa in più quando Mercury cambia di tono nell’ultimo minuto e mezzo.
I want to break free
(The works, 1984)
È quella del video dove sono travestiti da casalinghe e Mercury passa l’aspirapolvere, che suscitò reazioni sdegnate e censorie (in effetti, erano inguardabili, soprattutto lui con i baffoni e la mini): una parodia tutta inglese di una soap opera televisiva locale.
One year of love
(A kind of magic, 1986)
Languida ballatona dei Queen in fase calante, usata come altre cose del disco nella colonna sonora di Highlander, quello con Christopher Lambert (ma dove ce lo siamo perso, Christopher Lambert?).