• Mondo
  • Giovedì 6 ottobre 2011

La Corte Suprema e i diritti d’autore

Un caso in discussione negli Stati Uniti ha fatto parlare i giudici di Aaron Copland, Jimi Hendrix e Bob Dylan

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha iniziato ieri la revisione di una legge approvata dal Congresso nel 1994, che introduceva le protezioni garantite dai diritti d’autore anche per le opere di autori stranieri, in precedenza di pubblico dominio. Secondo la legge del 1994 i termini dei diritti d’autore scadono nella stessa data in cui sarebbero scaduti se le opere fossero state protette fin dalla loro creazione: normalmente a un certo numero di anni dalla morte dell’autore.

Le leggi sui diritti d’autore, negli Stati Uniti come in gran parte del mondo, garantiscono che all’autore dell’opera sia corrisposto un compenso, se lo vuole, per ogni volta in cui l’opera viene riprodotta, nonché il diritto di negare il permesso alla riproduzione. Dopo la morte dell’autore i diritti passano ai suoi eredi per un periodo di tempo variabile, ed esteso più volte nel corso del Novecento negli Stati Uniti come in diversi paesi occidentali.

Nel 2003 la Corte Suprema aveva stabilito che il Congresso poteva estendere la durata dei diritti d’autore, ma non ha mai specificato se opere in precedenza di pubblico dominio possano poi essere soggette alla legge sui diritti d’autore. La Corte Suprema dovrebbe esprimersi sul caso entro la fine dell’attuale sessione, che si concluderà nel giugno 2012. Chi ha sollevato il caso davanti alla Corte Suprema è Lawrence Golan, un direttore d’orchestra di Denver. Dice che i suoi studenti non possono più suonare “Pierino e il lupo” del compositore sovietico Prokofiev senza pagarne i diritti. Le opere interessate dalla legge sono moltissime e molto celebri, da “Guernica” di Picasso ai libri di Virginia Woolf, ai film di Fellini e Hitchcock. Negli Stati Uniti i diritti d’autore sono dovuti a chi li detiene fino a 70 anni dopo la morte dell’autore.

Insieme a Golan, contestano la legge davanti alla Corte Suprema musicisti, accademici e registi, oltre all’American Civil Liberties Union, un’organizzazione no-profit per i diritti civili. Anche Google sostiene il caso, dato che diversi suoi servizi (i progetti che riguardano le biblioteche e i musei, ma anche YouTube) dipendono molto dalle opere di pubblico dominio. L’argomentazione principale di chi contesta la legge è che l’estensione dei diritti d’autore sia una violazione del diritto di parola e di espressione garantito dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Secondo il governo, invece, la legge del 1994 è necessaria per uniformare gli Stati Uniti alle convenzioni in vigore nel resto del mondo sulla proprietà intellettuale.

Copland contro Hendrix
Il caso ha fatto parlare di sé sui giornali anche per un episodio concreto in particolare. Il giudice della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg, 78 anni, ha fatto l’esempio di Aaron Copland, un celebre compositore statunitense morto nel 1990: Bader Ginsburg ha detto che non vedeva perché anche le opere di due compositori nati in Russia, come Dmitrij Shostakovic e Igor Stravinskij, non dovessero avere le stesse protezioni legali di Copland.

John Roberts, 56 anni, un altro giudice della Corte Suprema, ha risposto che se una legge simile fosse stata in vigore ai tempi del festival musicale di Woodstock (Roberts allora aveva 14 anni), Jimi Hendrix non avrebbe potuto suonare la sua celebre versione dell’inno nazionale degli Stati Uniti. Roberts, in un verdetto della Corte Suprema scritto da lui nel 2008, aveva citato Like a Rolling Stone di Bob Dylan per rafforzare le sue argomentazioni.

foto: TIM SLOAN/AFP/Getty Images