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  • Sabato 1 ottobre 2011

La storia dell’infinito di David Foster Wallace

Torna nelle librerie italiane in una nuova edizione il saggio sulla matematica dello scrittore americano che si è ucciso tre anni fa

di David Foster Wallace

Gli storici della matematica esistono. Ecco una bella citazione d’apertura tratta da uno di questi storici e risalente agli anni Trenta:

Una conclusione appare ineluttabile: senza una teoria coerente dell’infinito matematico non esiste una teoria degli irrazionali; senza una teoria degli irrazionali non esiste analisi matematica in una qualsiasi forma anche lontanamente rassomigliante a quella che abbiamo oggi; e infine senza analisi la maggior parte della matematica come la conosciamo oggi (comprese la geometria e buona parte della matematica applicata) smetterebbe di esistere. Il compito più importante che aspetta i matematici sembrerebbe quindi essere la costruzione di una teoria soddisfacente dell’infinito. Cantor ci ha provato, vedremo in seguito con quale successo.

Per il momento lasciamo stare i termini matematici più esoterici. Il Cantor di cui si parla alla fine di questa citazione è il professor Georg F.L.P. Cantor, nato nel 1845, tedesco naturalizzato appartenente alla classe mercantile e padre riconosciuto della teoria astratta degli insiemi e della matematica transfinita.Alcuni storici hanno dibattuto in lungo e in largo per decidere se fosse ebreo o no.“Cantor” è semplicemente la parola latina per “cantante”. G.F.L.P.Cantor è il matematico più importante del XIX secolo e una figura di grande complessità e pathos. Ha fatto dentro e fuori da cliniche psichiatriche per buona parte della sua maturità ed è morto in una casa di cura a Halle1 nel 1918. Anche K. Gödel, il più importante matematico del XX secolo, morì in seguito a una malattia mentale.

L. Boltzmann, il più importante fisico matematico del XIX secolo, si suicidò. E così via. Gli storici e gli studiosi pop tendono a dedicare molto tempo ai problemi psichiatrici di Cantor e a come questi potessero essere connessi al suo lavoro sulla matematica dell’infinito.

Nel 1900, nel corso del II Congresso Internazionale di Matematica, il professor D. Hilbert, numero uno della matematica mondiale, descrisse i numeri transfiniti di Georg Cantor come “il prodotto più elegante del genio matematico” e come “una delle più eleganti realizzazioni dell’attività umana nell’ambito del puramente intelligibile”. Ecco una citazione da G.K.Chesterton: “I poeti non impazziscono, ma i giocatori di scacchi sì. Impazziscono i matematici, e anche i cassieri; ma agli artisti creativi accade assai di rado. Non voglio, come si vedrà, attaccare in alcun senso la logica; dico soltanto che questo pericolo è insito nella logica, e non nell’immaginazione”.

Ed ecco un paragrafo tratto dalla quarta di copertina di una recente biografia pop di Cantor: “Alla fine dell’Ottocento uno straordinario matematico languiva in manicomio. […] Più si avvicinava alle risposte che stava cercando, più queste sembravano allontanarsi. Alla fine tutto ciò lo fece impazzire, come era successo ad altri matematici prima di lui”. I casi di grandi matematici con problemi mentali hanno un’enorme risonanza per gli scrittori e i cinematografari pop moderni. La cosa ha a che fare perlopiù con i pregiudizi e le idiosincrasie degli stessi scrittori/cinematografari, che a loro volta dipendono da quello che potremmo definire come il modello archetipico specifico della nostra era. E naturalmente questi modelli cambiano nel corso del tempo.

Il Matematico Malato di Mente sembra essere oggi ciò che in altre epoche sono stati il Cavaliere Errante, il Santo Penitente, l’Artista Tormentato e lo Scienziato Pazzo: una specie di Prometeo, colui che va nei luoghi proibiti e ne fa ritorno con doni che noi tutti utilizziamo ma dei quali solo lui paga il prezzo. Probabilmente si tratta di un’esagerazione, quantomeno nella maggior parte dei casi2. Ma Cantor si avvicina al modello più di molti altri. E le ragioni di ciò sono molto più interessanti dei suoi problemi e dei suoi sintomi3. Essere semplicemente a conoscenza dei risultati di Cantor è altra cosa rispetto a comprenderli: quest’ultimo è il progetto generale di questo libro e implica la visualizzazione della matematica transfinita come una sorta di albero, un albero con le radici negli antichi paradossi greci della continuità e dell’incommensurabilità e i rami intrecciati nelle crisi moderne dei fondamenti della matematica da Brouwer a Hilbert a Russell a Frege a Zermelo a Gödel a Cohen eccetera.

I nomi per ora sono meno importanti della faccenda dell’albero, che è il principale tipo di tropo generale che vi chiederò di tenere a mente. Chesterton, nel brano citato, si sbaglia su una cosa. O quantomeno è impreciso. Il pericolo che cerca di evocare non è la logica. La logica è solo un metodo e i metodi non possono sconvolgere la mente delle persone. Ciò di cui in realtà Chesterton vuole parlare è una delle caratteristiche principali della logica (e della matematica). L’astrazione.

Vale la pena di intendersi sul significato diastrazione. Forse è la parola più importante per comprendere il lavoro di Cantor e i contesti che l’hanno reso possibile. Da un punto di vista grammaticale la radice è aggettivale, dal latino abstractus = “tirato via”. L’Oxford English Dictionary (d’ora in poiOED) riporta nove definizioni principali dell’ aggettivo “astratto”, la più appropriata delle quali è la 4a: “distante o separato dalla materia, da un’incarnazione materiale, dalla pratica o da esempi specifici. Contrario di concreto.” Sono interessanti anche la definizione 4b (“Ideale, distillato alla propria essenza”) e 4c (“Astruso”).

Ecco una citazione da Carl B. Boyer, che è più o meno il Gibbon della storia della matematica4:“Ma in fondo cosa sono gli interi? Tutti pensano di sapere cos’è il numero tre… almeno finché non provano a definirlo o a spiegarlo.” Per quanto riguarda (d’ora in poi “P/q/r”) questa faccenda risulta istruttivo parlare con degli insegnanti di matematica di prima o seconda elementare e scoprire come di fatto vengano insegnati gli interi ai bambini. Come gli si insegna cos’è il numero cinque? Prima vengono date loro cinque arance, per esempio. Qualcosa che possano toccare e tenere in mano. Gli si chiede di contarle. Poi viene data loro un’immagine con cinque arance. Poi un’immagine che associa le cinque arance alla cifra “5”, in modo che associno le due cose. Poi un’immagine della sola cifra “5”, senza più le arance.

A quel punto i bambini fanno degli esercizi in cui iniziano a parlare dell’intero 5per se, come oggetto in sé, separato dalle cinque arance. In altre parole vengono sistematicamente ingannati (o forse risvegliati): li si spinge a trattare i numeri come cose anziché come simboli di cose. A quel punto si può insegnare loro l’aritmetica, che comprende i rapporti elementari tra i numeri. (Noterete come lo stesso metodo venga usato per insegnarci il linguaggio. Impariamo molto presto che il sostantivo “cinque” significa, simboleggia, l’intero 5. E così via.)

A volte capita che un ragazzino abbia dei problemi, dicono gli insegnanti. Alcuni bambini capiscono che la parola “cinque” sta per 5, ma continuano a voler sapere 5 cosa? 5 arance? 5 monete? 5 punti? Questi bambini, che non hanno alcun problema a sommare o sottrarre arance o monete, otterranno comunque dei risultati scarsi nei test di aritmetica. Non riescono a trattare il 5 come un oggetto in sé. Spesso vengono spostati in corsi speciali in cui tutto viene insegnato in termini di gruppi o insiemi di oggetti reali anziché di numeri “distanti da esempi specifici”5. Morale: la def. base di “astratto” per quanto ci riguarda sarà l’espressione in qualche modo concatenata “distaccato da (o trascendente la) specificità concreta e l’esperienza sensoriale”. Usato in questo modo specifico, “astratto” è un termine che deriva dalla metafisica. In tutte le teorie matematiche è infatti implicita una qualche posizione metafisica. Il padre dell’astrazione matematica: Pitagora. Il padre dell’astrazione metafisica: Platone.

Le altre definizioni dell’OED non sono però irrilevanti. Non solo perché la matematica moderna è astratta nel senso di estremamente astrusa e arcana e spesso difficile anche solo da guardare sulla pagina. Essenziale alla matematica è anche il senso in cui astrarre qualcosa può significare ridurlo alla sua essenza scheletrica assoluta, come nel caso dell’abstract (= “riassunto”) di un articolo o di un libro. Fare matematica in questo modo può anche voler dire pensare intensamente a cose alle quali le persone perlopiù non sono in grado di pensare intensamente, perché le fanno impazzire. Questo è solo una specie di riscaldamento; il resto non sarà sempre così. Ecco altre due citazioni da personaggi di grande levatura. M. Kline: “Uno dei grandi contributi dei greci al concetto stesso di matematica fu la presa di coscienza e l’accentuazione del fatto che le entità matematiche sono astrazioni, idee concepite dalla mente e nettamente distinte dagli oggetti fisici o dalle immagini”. F.d.l. Saussure:“Ciò che è sfuggito a filosofi e logici è che dal momento che un sistema di simboli diviene indipendente dagli oggetti designati, è esso stesso soggetto a subire spostamenti incalcolabili per il logico”. L’astrazione porta con sé ogni genere di problemi e rotture di scatole, lo sappiamo tutti. Una parte del rischio è il modo in cui usiamo i sostantivi. Noi pensiamo ai significati dei sostantivi in termini di denotazioni. I sostantivi indicano delle cose: uomo, scrivania, penna, David, testa, aspirina.

Un genere di comicità del tutto particolare si ha quando si ingenera confusione su cosa sia un sostantivo reale, come nel caso di “Chi gioca in prima base?” o nei tormentoni di Alice nel paese delle meraviglie:“‘Cosa vedi sulla strada? ’‘Nulla.’‘Che spettacolo dev’essere! Che aspetto ha questo nulla?’” La comicità tende però a svanire quando i sostantivi denotano delle astrazioni, ovvero dei concetti generali separati da occorrenze specifiche. Molti di questi sostantivi-astrazioni derivano da radici verbali.“Movimento” ed “esistenza” sono sostantivi; noi usiamo continuamente parole come queste. La confusione si ingenera quando proviamo a considerare cosa significhino esattamente.

È come quello che Boyer diceva sugli interi. Cosa denotano esattamente “movimento” ed “esistenza”? Sappiamo che delle cose specifiche e concrete esistono e che a volte si muovono. Esiste il movimento in sé? In che modo? In che modo esistono le astrazioni? Naturalmente l’ultima domanda è essa stessa molto astratta. Iniziate a sentire un malditesta in arrivo? Vi è un tipo speciale di disagio, di impazienza, quando si ha a che fare con roba del genere. Roba del tipo “Cos’è esattamente l’esistenza?” o “Cosa intendiamo esattamente quando parliamo di movimento?” È un disagio del tutto particolare, che insorge solo quando si raggiunge un certo livello del processo di astrazione (perché l’astrazione procede per livelli, un po’ come gli esponenti o le dimensioni). Diciamo che “uomo” a indicare un qualche uomo specifico è il Livello Uno.“Uomo” a indicare la specie è il Livello Due. Un termine come “umanità” è il Livello Tre: siamo passati a parlare dei criteri astratti perché qualcosa si qualifichi come umano. E così via.

Pensare in questo modo può essere pericoloso, strano. Pensare a qualcosa in termini abbastanza astratti… sicuramente abbiamo provato tutti l’esperienza di pensare a una parola – per esempio “penna” – e continuare a ripeterla dentro di noi fino a farle perdere qualsiasi significato; la bizzarria del fatto stesso di chiamare “penna” un qualche oggetto inizia a imporsi alla nostra coscienza in modo inquietante, come una specie di aura epilettica. Come probabilmente saprete, buona parte di ciò che oggi chiamiamo filosofia analitica si occupa del Livello Tre, o addirittura di domande di Livello Quattro del tipo: epistemologia = “cos’è esattamente la conoscenza?”; metafisica = “quali sono esattamente i rapporti tra costrutti mentali e oggetti reali?” eccetera6.

Può essere che i filosofi e i matematici, che passano un sacco di tempo a pensare (a) astrattamente o (b) ad astrazioni o (c) entrambe le cose, diventino eo ipso predisposti alla malattia mentale. Oppure può essere che le persone predisposte alla malattia mentale siano più inclini a pensare a questo genere di cose. È una questione tipo l’uovo e la gallina. Una cosa però è certa. Il fatto che l’uomo sia per natura curioso e affamato di verità e che voglia più di ogni altra cosa sapere è un mito assoluto7.
Dati determinati significati riconosciuti del verbo “sapere”, esiste di fatto un bel po’ di roba che noi non vogliamo sapere. Lo dimostra l’enorme numero di domande e problemi assolutamente fondamentali a cui non ci piace pensare in termini astratti. Teoria: il terrore e i pericoli del pensiero astratto sono uno dei motivi fondamentali per cui a noi oggi piace essere tanto impegnati e costantemente bombardati da stimoli di ogni tipo. Il pensiero astratto tende a colpire con maggiore frequenza nei momenti di tranquillità.

Tipo la mattina presto, soprattutto se ti svegli poco prima che suoni la sveglia, quando può venirti in mente all’improvviso e senza motivo alcuno che sei uscito dal letto tutto le mattine senza mai mettere minimamente in dubbio che il pavimento ti avrebbe sorretto. Ora, mentre te ne stai lì sdraiato a rimuginare su questo pensiero, ti sembra quantomeno teoricamente possibile che un qualche difetto nella costruzione del pavimento o nella sua integrità molecolare potrebbe farlo curvare, o anche che una roba tipo un’aberrazione del flusso quantico ti ci faccia passare attraverso. Insomma, non ti sembra proprio logicamente impossibile.

Non è che tu abbia davvero paura che il pavimento possa cedere quando deciderai di uscire dal letto. È solo che certi stati d’animo e certe linee di pensiero sono più astratte, e non si concentrano esclusivamente sui bisogni o gli impegni a cui dovrai ottemperare una volta uscito dal letto. Questo è solo un esempio. La domanda astratta su cui te ne stai sdraiato a rimuginare è se è davvero giustificata la fiducia che poni nel pavimento. La risposta iniziale – che è sì – si basa sul fatto che sei uscito dal letto per migliaia di volte (di fatto un bel po’ di più di diecimila volte) e il pavimento ti ha sempre sorretto. È lo stesso motivo per cui sei giustificato nel credere che il sole sorgerà, che tua moglie saprà il tuo nome, che quando provi una data sensazione è perché stai per starnutire eccetera. Perché ti è già successo un sacco di volte. Il principio in gioco è di fatto il solo modo in cui possiamo prevedere tutti i fenomeni che diamo semplicemente per scontati senza doverci pensare.

La maggior parte della vita quotidiana è composta da questi fenomeni, e senza questa fiducia basata sull’esperienza passata diventeremmo tutti pazzi, o quantomeno non saremmo in grado di funzionare perché dovremmo fermarci a deliberare su ogni minima cosa. È un fatto: la vita così come la conosciamo sarebbe impossibile senza questa fiducia. Ma questa fiducia alla fine è veramente giustificata o è solo estremamente comoda? Questo è pensiero astratto, con il suo classico grafico a scala, e ora sei salito di diversi gradini. Non stai più pensando solo al pavimento e al tuo peso, o alla tua fiducia riguardo allo stesso e a quanto questo tipo di fiducia sembri necessario alla sopravvivenza elementare. Ora stai pensando a una qualche regola, legge o principio più generale da cui questa fiducia incondizionata in tutte le sue innumerevoli forme e intensità è di fatto giustificata, anziché essere solo una serie di bizzarri spasmi clonici o riflessi che ti sospingono fino alla fine della giornata. Un segno sicuro del fatto che si tratta di pensiero astratto: non ti sei ancora mosso.Ti senti come se stessi consumando un’energia e uno sforzo tremendi e sei ancora sdraiato, perfettamente immobile.

Avviene tutto solo nella tua mente. È davvero strano, e non stupisce che alla maggior parte della gente non piaccia. Diventa improvvisamente chiaro perché i folli sono tanto spesso rappresentati mentre si tengono la testa tra le mani o mentre la picchiano contro qualcosa. Se avessi seguito i corsi giusti a scuola però potresti ricordarti a questo punto che la regola o il principio che stai cercando di fatto esiste: il suo nome ufficiale è Principio di Induzione. È il precetto fondamentale della scienza moderna. Senza il Principio di Induzione gli esperimenti non potrebbero confermare un’ipotesi e non sarebbe possibile prevedere nulla nell’universo fisico con un qualsiasi grado di fiducia. Non potrebbero esservi leggi naturali né verità scientifiche. Il P.I. afferma che se un fattox è successo n volte in passato in circostanze specifiche, siamo giustificati nel credere che le stesse circostanze produrranno x nell’occasione (n+1). Il P.I. è totalmente rispettabile e autorevole e sembrerebbe una via d’uscita ben illuminata dal nostro problema.

Almeno fino a quando non ti capita di pensare (come ti può accadere solo in stati d’animo particolarmente astratti o quando hai una quantità enorme di tempo prima che suoni la sveglia) che il P.I. è esso stesso una mera astrazione dall’esperienza… e così ora cos’è esattamente che giustifica la nostra fiducia nel P.I.? Quest’ultimo pensiero può (o anche no) essere accompagnato dal ricordo concreto di diverse settimane trascorse da bambino nella fattoria di certi parenti (segue lunga storia). C’erano quattro polli in una stia di fildiferro e il più intelligente si chiamava Mr. Pollo. Tutte le mattine, quando il bracciante della fattoria arrivava nella stia con un certo sacco di iuta, Mr. Pollo iniziava ad agitarsi e a dare delle beccate di riscaldamento per terra, perché sapeva che era ora di mangiare.

La cosa avveniva tutte le mattine intorno alla stessa ora t e Mr. Pollo aveva capito che t (uomo+sacco) = cibo, e così stava dando tutto fiducioso le sue beccate di riscaldamento anche in quell’ultima domenica mattina in cui il bracciante all’improvviso allungò una mano, prese Mr. Pollo, gli tirò il collo con un unico movimento elegante, lo ficcò nel sacco di iuta e se lo portò in cucina. I ricordi di questo tipo tendono a restare ben vividi nella memoria, se ti capita di averne. A maggior ragione perché, secondo il Principio di Induzione, Mr. Pollo sembrerebbe aver avuto ragione a non aspettarsi altro che la colazione da quella (n+1)-esima apparizione di uomo+sacco al momento t. La cosa inquietante e davvero fastidiosa è che Mr. Pollo non solo non sospettasse nulla, ma che sembri essere stato perfettamente giustificato nel suo non sospettare nulla.

Trovare una giustificazione di livello superiore per la tua fiducia nel P.I. sembra molto più urgente quando capisci che, senza questa giustificazione, la nostra situazione potrebbe essere fondamentalmente indistinguibile da quella di Mr. Pollo. Ma la conclusione, per quanto astratta, sembra ineludibile: ciò che giustifica la nostra fiducia nel Principio di Induzione è il fatto che ha sempre funzionato benissimo in passato, almeno finora. Ovvero: la nostra unica vera giustificazione del Principio di Induzione è il Principio di Induzione, il che non suona certo rassicurante. La sola via d’uscita dalla paralisi (che potrebbe confinarci a letto per il resto delle nostre vite) derivante da quest’ultima conclusione è darsi a meditazioni ancora più astratte, chiedendosi cosa significhi esattamente “giustificazione” e se sia vero che le sole giustificazioni valide per determinate credenze e principi sono razionali e non-circolari.

Per esempio noi sappiamo che in un dato numero di casi ogni anno delle auto superano la linea di mezzeria, finiscono contromano e vanno a sbattere contro persone che guidavano tranquillamente senza aspettarsi di essere uccise; di conseguenza sappiamo anche, a un qualche livello, che la fiducia che ci consente di guidare sulle strade a doppio senso di percorrenza non è giustificata razionalmente al 100% dalle leggi della probabilità statistica. Eppure in questo caso il concetto di “giustificazione razionale” potrebbe non essere quello esatto. È più pertinente il fatto che se non riesci a credere che la tua auto non verrà investita improvvisamente da un veicolo uscito dal nulla non riuscirai affatto a guidare, e quindi il tuo bisogno/desiderio di poter guidare funziona come una sorta di “giustificazione” della tua fiducia8. Sarebbe meglio a questo punto non iniziare ad analizzare le varie “giustificazioni” putative del tuo bisogno/desiderio di guidare un’auto: a un certo punto capisci che il processo di giustificazione astratta può – almeno in linea di principio – continuare per sempre. La capacità di interrompere una linea di pensiero astratto una volta compreso che questa non ha termine fa parte di ciò che generalmente distingue le persone sane e funzionali (quelle che quando alla fine suona la sveglia possono mettere i piedi per terra senza trepidazione e tuffarsi nella concretezza della loro vita lavorativa quotidiana) da quelle fuori di testa.

1.Halle, una miniera di sale sopra Lipsia, è famosa soprattutto come paese natale di Händel.
2.Lo stesso vale per lo stereotipo antipodale a questo, quello che raffigura i matematici come dei piccoli nerd fissipari in bretelle e farfallino. Nell’archetipologia odierna questi due stereotipi sembrano svolgere un ruolo reciproco estremamente interessante.
3. In termini medici moderni risulta abbastanza evidente che G.F.L.P. Cantor soffrisse di disturbi maniaco-depressivi in un’epoca in cui nessuno ne conosceva l’esistenza, e che i suoi cicli polari fossero aggravati dagli stress e dalle delusioni professionali, che Cantor non si fece certo mancare. Naturalmente per una quarta di copertina suona molto meglio parlare del Genio Reso Folle dal Tentativo di Comprendere l’infinito. La verità però è che il lavoro di Cantor e il suo contesto sono tanto interessanti e belli che non vi è alcun bisogno di prometeizzare a ogni costo la vita di quel pover’uomo. La vera ironia sta nel fatto che il lavoro di Cantor ha sovvertito proprio l’idea dell’infinito come zona proibita o come strada verso la follia (un’idea antichissima e potente che ha perseguitato la matematica per + di 2000 anni). Dire che l’infinito ha fatto impazzire Cantor è un po’ come piangere la sconfitta di San Giorgio nella lotta contro il drago: non è solo sbagliato, ma anche insultante.
4. Boyer condivide il vertice della catena alimentare della storia della matematica solo con il professor Morris Kline. Le opere principali di Boyer e Kline sono rispettivamenteStoria della matematica Storia del pensiero matematico (Vol I. Dall’Antichità al Settecento Vol. II Dal Settecento a oggi). Sono entrambi ottimi testi, straordinariamente esaurienti, dai quali attingeremo a man bassa.
5. B. Russell ha un interessante ¶ a questo riguardo sulla matematica delle superiori, che dopo l’aritmetica è generalmente il grande balzo successivo in termini di astrazione:“All’inizio dello studio dell’algebra, anche il ragazzino più intelligente trova generalmente enormi difficoltà. L’uso delle lettere è un mistero il cui unico scopo sembra essere la mistificazione. È quasi impossibile a tutta prima non pensare che ogni lettera stia per un qualche numero specifico che l’insegnante potrebbe rivelare, se solo lo volesse. Il fatto è che nell’algebra viene insegnato per la prima volta alla mente a considerare delle verità generali, verità che non sono tali solo per quanto riguarda questa o quella cosa specifica, ma per tutte le cose di un intero gruppo. È nel potere di comprendere e scoprire tali verità che risiede la supremazia dell’intelletto sull’intero mondo delle cose reali e possibili; e la capacità di affrontare il generale in quanto tale è uno dei doni che un’istruzione matematica dovrebbe elargire”.
6. Secondo la maggior parte delle fonti G.F.L.P.Cantor non è stato solo un matematico, ma ha creato una vera e propria Filosofia dell’Infinito. Una filosofia strana, semireligiosa e – non sorprendentemente – astratta.A un certo punto Cantor cercò di farsi trasferire dalla facoltà di matematica dell’università di Halle a quella di filosofia. La sua richiesta venne respinta. Bisogna però dire che quello non era uno dei suoi periodi più stabili.
7. La fonte di questo pericoloso mito è Aristotele, che per certi aspetti è il cattivo di tutta la nostra Storia (vedi il §2).
8. Un parallelo convincente è il fatto che la maggior parte di noi voli anche sapendo che una certa percentuale di aerei commerciali precipita ogni anno. La cosa però rientra nelle diverse tipologie di sapere contrapposto a “sapere”. C’è poi anche una questione di etichetta, dato che i viaggi aerei sono un’attività pubblica in cui entra in gioco una sorta di fiducia di gruppo. È per questo che informare il vostro vicino di posto della precisa probabilità statistica che il vostro aereo precipiti non è falso ma crudele: state giocando con la delicata infrastruttura psicologica della sua giustificazione per il volo.

 

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Tutto, e di più (Storia compatta dell’infinito) è il saggio sulla matematica che lo scrittore americano David Foster Wallace pubblicò nel 2003, e che in Italia venne pubblicato da Codice Edizioni nel 2005. Esce il 4 ottobre in un’edizione riveduta e corretta, alla vigilia della pubblicazione italiana del romanzo postumo “Il re pallido” (Einaudi), di cui il Post pubblica le pagine iniziali. David Foster Wallace si è impiccato il 12 settembre 2008.

Foto di Matt Bargar