Quando si parla di guerra dei narcos si pensa istantaneamente al Messico e ai suoi quotidiani massacri, ma da tempo le rotte della droga si sono spinte ben oltre i confini messicani e hanno finito per contaminare gran parte dell’America Centrale. L’Economist ha analizzato quello che è successo negli ultimi anni in un lungo articolo.
Il paese in assoluto più colpito dai traffici dei narcos è il Guatemala, dove c’è un rapporto di 46 omicidi ogni centomila abitanti: il doppio di quello del Messico e dieci volte tanto quello degli Stati Uniti. Subito dopo ci sono Honduras ed El Salvador. Poi Nicaragua, Costa Rica, Panama e Belize.
Secondo i dati raccolti dall’Economist ogni anno circa 350 tonnellate di cocaina attraversano il Guatemala, in pratica l’equivalente del totale che ogni anno entra negli Stati Uniti. Se fino a una decina di anni fa l’America Centrale era ancora indietro nei traffici di droga, ora ne gestisce il triplo rispetto a quelli di Messico e Caraibi messi insieme. I gruppi dei narcos messicani – Sinaloa, Golfo, Zeta – sono ormai attivi anche in queste regioni, spesso in collaborazione con i narcos locali. L’impatto è stato letale: la percentuale di omicidi in Guatemala è raddoppiata in dieci anni ed è ora addirittura più alta di quella dei tempi della guerra civile.
Il cambiamento è stato favorito da vari fattori. Innanzitutto la posizione geografica di questi paesi ne ha fatto un corridoio naturale per i traffici verso nord. A questo si sommano poi l’estrema povertà della popolazione locale, che spesso vede nel narcotraffico l’unica possibilità di riscatto, e la debolezza delle istituzioni, che hanno favorito il consolidarsi delle attività criminali. Il primato in questo senso spetta al cosiddetto triangolo del nord – quello formato appunto da Guatemala, Honduras e El Salvador – che è ormai diventata la principale regione di produzione, raffinamento e distribuzione della droga che circola nel continente americano.