La Groenlandia si scioglie, ma più piano

Lo slittamento verso il mare della calotta glaciale avviene più lentamente del previsto, ma il pericolo resta

Tourists look out over the ice of the Ilulissat fjord on September 11, 2008 in Ilulissat, on the western Coast of Greenland. At Greenland's Ilulis flying low over the vast, white expanse of Greenland's Ilulissat glacier, one of the biggest and most active in the world, the effects of global warming in the Arctic are painfully visible as the ice melts at an alarming rate. The glacier is the most active in the northern hemisphere, producing 10 percent of Greenland's icebergs, or some 20 million tonnes of ice per day. But the glacier is in bad shape, experts warn. AFP PHOTO/STEEN ULRIK JOHANNESSEN (Photo credit should read STEEN ULRIK JOHANNESSEN/AFP/Getty Images)
Tourists look out over the ice of the Ilulissat fjord on September 11, 2008 in Ilulissat, on the western Coast of Greenland. At Greenland's Ilulis flying low over the vast, white expanse of Greenland's Ilulissat glacier, one of the biggest and most active in the world, the effects of global warming in the Arctic are painfully visible as the ice melts at an alarming rate. The glacier is the most active in the northern hemisphere, producing 10 percent of Greenland's icebergs, or some 20 million tonnes of ice per day. But the glacier is in bad shape, experts warn. AFP PHOTO/STEEN ULRIK JOHANNESSEN (Photo credit should read STEEN ULRIK JOHANNESSEN/AFP/Getty Images)

Andrew Shepherd è un docente universitario presso l’università di Leeds (Gran Bretagna), si occupa dei cambiamenti climatici e in uno studio in pubblicazione sulla rivista scientifica Nature smentisce le teorie degli ultimi anni sulla possibile accelerazione dello scioglimento della Sermersuaq, la calotta glaciale della Groenlandia. Fino a ora si pensava che la maggior quantità di acqua derivante dallo scioglimento dei ghiacci potesse lubrificare la calotta, favorendo il suo scivolamento sul terreno verso le coste e il mare, ma gli ultimi dati raccolti sembrano smentire almeno in parte questa teoria.

Insieme al proprio gruppo di ricerca, Shepherd ha analizzato le immagini satellitari degli ultimi cinque anni scattate per monitorare l’avanzamento della calotta glaciale della Groenlandia verso il mare in prossimità del suo margine occidentale. L’analisi ha consentito di verificare che oltre un certo limite, il fenomeno dello slittamento dovuto alla maggiore presenza d’acqua rallenta sensibilmente, diventando quasi trascurabile.

I ricercatori hanno così approfondito il fenomeno studiando il comportamento dei ghiacciai alpini, scoprendo che maggiori quantità di acqua dovuta allo scioglimento dei ghiacci portano alla formazione di diversi canali al di sotto dello strato ghiacciato che facilitano il passaggio dell’acqua. Questa scorre molto rapidamente e la mancanza del ristagno d’acqua evita che si formi lo strato scivoloso che fa aumentare lo slittamento del ghiaccio soprastante.

La porzione della calotta glaciale della Groenlandia analizzata da Shepherd e colleghi è spessa un migliaio di metri. Se si dovesse sciogliere l’intera calotta, si calcola che il livello del mare potrebbe aumentare di sette metri. L’intero processo dovrebbe però richiedere almeno tremila anni di tempo se le condizioni ambientali dovessero rimanere uguali a quelle dei giorni nostri, ricordano sul Guardian.

Shepherd dice che buona parte della calotta della Groenlandia si trova sul terreno e non a diretto contatto con l’acqua del mare, a differenza della parte occidentale della calotta antartica. Quella calotta contiene acqua a sufficienza per far innalzare il livello dei mari di sei metri se si sciogliesse tutto il ghiaccio. Il ricercatore dice che la prossima domanda cui rispondere è: gli oceani più caldi potranno erodere i margini delle calotte, accelerando così la loro caduta nelle acque del mare?

La ricerca pubblicata su Nature dimostra quanto siano complesse e più difficili da prevedere del previsto le dinamiche che portano allo scioglimento e allo scivolamento delle calotte glaciali. Shepherd insiste comunque su un punto: il suo studio dimostra che lo slittamento avviene più lentamente del previsto, ma questa condizione non smentisce in alcun modo i modelli e le teorie sul riscaldamento globale del pianeta.