Dalla direzione nazionale del PD (aggiornato)

Stefano Menichini aggiorna su cosa sta succedendo: "una resa dei conti tra ex amici"

di Stefano Menichini

Foto Mauro Scrobogna / LaPresse
13-01-2011 Roma
Politica
PD - Direzione Nazionale
Nella foto: Pierluigi Bersani PD
Foto Mauro Scrobogna / LaPresse
13-01-2011 Rome
Politics
Democratic Party - National Comitee
In the picture: Pierluigi Bersani PD
Foto Mauro Scrobogna / LaPresse 13-01-2011 Roma Politica PD - Direzione Nazionale Nella foto: Pierluigi Bersani PD Foto Mauro Scrobogna / LaPresse 13-01-2011 Rome Politics Democratic Party - National Comitee In the picture: Pierluigi Bersani PD

Aggiornamento delle 18,20:  Alle fine il peggio – ma davvero, solo il peggio – è stato evitato. La minoranza ha deciso di non partecipare al voto, si sono astenuti i prodiani Santagata e Zampa, due soli i contrari (due calabresi che avevano fatto una battaglia particolare sulle primarie), Ignazio Marino s’è aggregato alla maggioranza che in questo modo – se dovessimo giudicare secondo i metri della politica classica – esce perfino rafforzata dalla direzione. La chiusura di Bersani è stata un po’ “core in mano” (“quando andate a casa pensate a cosa potete fare per tirare fuori dai problemi questo paese”: una quasi citazione di del Papa buono) e le dimissioni di Fioroni e Gentiloni dagli incarichi di lavoro sono state ritirate, nel sollievo generale anche se qualcuno avrebbe voluto disfarsene veramente.

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Sono le 17,15. È un work in progress, anche se al lavoro ci sono più squadre di demolitori che di costruttori. Comunque, a direzione del Pd ancora in corso si può provare a mettere alcuni punti.
La grande eccitazione intorno allo scontro andrebbe rubricata meglio: il nocciolo della questione non è Veltroni contro Bersani (non ancora, non oggi almeno), bensì una coda di resa dei conti fra ex amici. L’area di minoranza Modem avrebbe voluto che la direzione scorresse senza infamia, senza lode e senza un voto conclusivo, sì da concentrare attenzione mediatica e valore politico intorno alla propria scadenza del Lingotto, il 22 prossimo.
Sono stati Franceschini e Marini, che stavano anch’essi in minoranza fino a pochi mesi fa, a portare con sé Bersani alla conta. Poi è stato un uomo di Franceschini – il peraltro mitissimo Gianclaudio Bressa – a provocare la scintilla più pericolosa, dicendo in giro che se uno non vota la relazione del segretario non può rimanere negli organismi dirigenti. Di qui le mezze dimissioni di Fioroni e Gentiloni dai rispettivi incarichi, che forse fra qualche minuto Bersani respingerà.
È largamente una storia fra ex democristiani, anche se non solo. Il che contribuirà a eccitare la furia di chi già in questi minuti su ogni blog e forum, inveisce contro il Pd partito capace solo di dividersi e farsi del male invece di cacciare, chissà come poi, Berlusconi.
Il trauma – se si scusa il termine – potrebbe anche essere riassorbito, comunque con l’ennesimo catastrofico danno d’immagine, ma è fortissimo l’effetto-rotolamento che questa giornata trasmette. Capita spesso in politica (per esempio sta capitando in queste ore ad Alemanno) che le situazioni precipitino oltre le intenzioni e i disegni. L’impressione è che se Bersani non si dà da fare (e se il quadro politico non collassa in elezioni anticipate) la catena che si è innescata possa davvero portare nel giro di qualche mese all’ulteriore scissione del Pd. Ne sarebbero incoscientemente felici molti pasdaran bersaniani, ma per il segretario sarebbe invece una catastrofe: ancora in meno di adesso, con un partito avvelenato dalle scissioni, spinto ancora più nell’angolo sinistro dove incombe egemone Nichi Vendola. Una follia.
Lo scenario di Luca Sofri – metterci una pietra sopra – si afferma giorno dopo giorno, ed è ormai senso comune in molti ambienti.
Un po’ la colpa è anche di quella illusione di restaurazione partitica che Bersani ha cavalcato fin dalle primarie. Anche a me verrebbe l’ulcera a dirigere un partito con dentro – per dire i primi che vengono in mente – Chiamparino, Civati, Renzi, Bindi, Parisi, Fioroni, cioè gente imprevedibile che ogni giorno può inventarsene una. Ma che la risposta a questo sia la linea “compattezza e disciplina davanti al nemico” che era un po’ il nocciolo della relazione di stamattina, chiaro che non è più tempo. Questo tipo di partito è in mostra alla Casa dell’architettura di Roma proprio da domani, si chiamava Pci col suo bello e il suo brutto, soprattutto i “giovani” che ne hanno nostalgia (senza averlo vissuto davvero) dovrebbero rassegnarsi.
Mancano i contenuti reali, da tutto ciò? Mancano le primarie, certo, perché come si sapeva il tema è stato rinviato. Sulla Fiat Bersani ha fatto un passetto in più verso la Cgil, mentre Fassino ha invece tenuto fermo il suo Sì. Il resto non esiste, a partire dal Patto repubblicano, che sfuma anche come esigenza man mano che sfumano le elezioni anticipate.
E D’Alema? C’è ma non parla. E Veltroni? C’è ma sta andando via, senza parlare. E Renzi? C’era, ma s’è fatto notare di più per il fruttuoso incontro con Gianni Letta sui beni culturali di Firenze (e ha fatto benissimo). E Civati? Non lo so.