Il governo dei somari

Franco Cardini spiega quale cultura prevalga in Italia e perché la riforma Gelmini non va

Lo storico Franco Cardini ha scritto per il Secolo un lungo articolo sul suo giudizio sull’Università italiana, su quello che va bene nella riforma Gelmini e soprattutto su quello che va male.

Sto scrivendo nel pomeriggio del 27 novembre 2010.
La discussione parlamentare della riforma universitaria che prende il nome dal ministro Mariastella Gelmini è in corso e tutto appare fluido e incerto; a render le cose ancor più complesse, c’è il fatto che una riforma su un argomento di quest’importanza dovrebb’esser varata da un governo forte e stabile, mentre questo appare in bilico. Prudenza vorrebbe quindi che non si parlasse di quest’argomento se non quando la riforma sarà passata dalle due Camere e con certezza, salvi gli eventuali rilievi del Presidente della Repubblica, fosse divenuta legge.
Ma purtroppo, in questo come in altri casi, la prudenza cozza con l’opportunità morale, la quale prescrive invece che si assumano delle responsabilità prendendo posizione. E io la prendo. Tantopiù ch’è stato firmato da alcuni docenti di vari Atenei un comunicato nel quale alcuni colleghi ribadiscono il loro apprezzamento per il disegno di legge presentato dal ministro perché, tra l’altro, “riorganizza e moralizza gli organi di governo degli Atenei; perché limita la frantumazione delle sedi universitarie, dei corsi di laurea e dei dipartimenti; perché introduce norme più efficaci e razionali per il reclutamento dei docenti; perché stabilisce regole certe e trasparenti per disciplinare i casi di disavanzo finanziario e di mala gestione; perché fissa dei criteri di valutazione per le singole sedi universitarie e per i singoli professori”.
I motivi avanzati per la stesura del comunicato stanno essenzialmente nel fatto che “da troppo tempo” l’Università italiana ha bisogno di una riforma efficace e che “gli studenti italiani bravi e meritevoli non hanno più la possibilità di frequentare istituzioni universitarie competitive rispetto al resto dell’Europa e del mondo.

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