«Io i libri li finisco per principio»

Descrizione e confutazione di sette luoghi comuni sulla lettura

Guido Vitiello – docente universitario, collaboratore di Internazionale, blogger – propone una lista di sette luoghi comuni sulla lettura, in cui certamente qualcuno si riconoscerà.

Il Dictionnaire des idées réçues di Flaubert ha inaugurato un genere letterario meraviglioso: lo sciocchezzaio, il repertorio di luoghi comuni. Dopo di lui Léon Bloy e Karl Kraus, Paul Valéry e Arthur Schopenhauer sono stati gli insuperati cataloghisti e fustigatori delle banalità e dei cliché correnti.

Eppure, in tutto il repertorio di Flaubert i luoghi comuni che riguardano il libro e la lettura si contano sulle dita di una mano. Il più diretto è questo: Libro – Qualunque esso sia, sempre troppo lungo. Poi qualcosa sul carattere ozioso dei letterati, sui benefici e i danni della stampa, e poco altro.

Qualcuno dovrebbe incaricarsi di colmare questa lacuna, dedicando un libro intero al censimento delle banalità che si dicono intorno ai libri. Per parte mia, confesso, non ho il tempo né la voglia di imbarcarmi nel proverbiale «sporco lavoro che qualcuno deve pur fare». Forse la cosa migliore è farne un’opera collettiva. Dunque, mi limiterò a segnalare i primi luoghi comuni che mi vengono in mente. E se avrete la bontà di suggerirmene altri, sarò ben lieto di aggiornare l’elenco.

1. Io i libri li finisco per principio, non li lascio mai a metà.
Lo si sente dire spesso, ed è piuttosto stupido. Perché accanirsi a leggere un libro orrendo? Per un malinteso senso d’orgoglio, per spirito di disciplina, per sfida a sé stessi? O – peggio ancora – per il semplice fatto che lo si è comprato? «Ho speso tredici euro per Acido solforico di Amélie Nothomb, a questo punto lo leggo fino in fondo». Che è esattamente come dire: «Ho buttato del denaro, ora per pareggiare i conti devo buttare anche del tempo». Non vi daranno indietro né l’uno né l’altro.

2. Quest’estate ho riletto la Recherche (specie se detto da un under 35).
Ho un caro amico che ha riletto davvero la Recherche. Si chiama Alberto Beretta Anguissola, non è più propriamente un ragazzino, e soprattutto ha curato l’apparato di note a Proust per l’edizione dei Meridiani, quella tradotta da Raboni. Tutti gli altri (o quasi), se vi dicono una frase simile, sono dei millantatori, dei parvenu, dei bulletti culturali. I classici sono in numero così grande che, anche quando avremo cent’anni, ce ne saranno a migliaia da leggere e scoprire per la prima volta. E aggiungo: meno male. Il primo post nella storia di UnPopperUno, I misteriosi meriti dell’asino, parlava proprio di questo.

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