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  • Domenica 14 novembre 2010

La complicata caccia degli Stati Uniti ai nazisti

Un rapporto tenuto segreto per anni racconta i successi e i fallimenti dei tentativi di estradare i nazisti

Un lungo rapporto del ministero della giustizia statunitense, che per anni il ministro della difesa ha cercato di tenere segreto, racconta dettagliatamente le operazioni con cui gli Stati Uniti hanno dato la caccia ai vertici del nazismo durante e soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, mostrando come ad alcuni funzionari nazisti e ai loro collaboratori venne offerto rifugio negli Stati Uniti, aprendo la strada a decennali polemiche con altre nazioni riguardo il trattamento di questi criminali di guerra.

Il rapporto mostra successi e fallimenti dell’Ufficio per le indagini speciali del ministero della giustizia, creato nel 1979 allo scopo di estradare i nazisti. Le rivelazioni più gravi sono quelle riguardo l’utilizzo di alcuni nazisti da parte della CIA a scopi di intelligence: si parlava da tempo di questa possibilità, scrive il New York Times, ma il rapporto documenta meglio e più approfonditamente.

Ad alcuni esponenti nazisti venne garantito “un ingresso sicuro nel paese”. Gli Stati Uniti, che dicevano orgogliosamente di essere un rifugio sicuro perseguitati, divennero in misura minore anche il rifugio dei persecutori.

L’intera indagine si deve al lavoro di Mark Richard, un giurista dipendente del ministero della difesa, che nel 1999 convinse l’allora ministro Janet Reno ad avviare una ricerca nei documenti di quegli anni. Frutto di sei anni di lavoro, il rapporto non è stato mai formalmente ultimato e quindi non contiene informazioni ufficiali; e ammette, nella sua introduzione, di contenere “errori fattuali e omissioni”, senza specificare in che passaggi. Quando Richard ultimò la versione finale del rapporto, nel 2006, chiese che venisse reso pubblico, senza ottenere risposta. Richard si ammalò poi di cancro, e disse ai suoi amici e parenti che una delle poche cose che avrebbe voluto vedere prima di morire era proprio la pubblicazione del rapporto. Richard è morto nel giugno del 2009. L’attuale ministro della giustizia, Eric Holder, al suo funerale disse che ancora una settimana prima di morire Richards si stava battendo per la sua pubblicazione. Alcuni gruppi di ricerca hanno chiesto di poterlo vedere, in nome della legge sulla libertà di stampa, ricevendo però una versione pesantemente tagliata. Il New York Times è entrato in possesso della versione integrale.

In sostanza, il rapporto indica che se la maggior parte dei nazisti presenti negli Stati Uniti fu estradata e privata della nazionalità americana in alcuni casi le cose andarono diversamente. Otto Von Bolschwing, amico e collaboratore di Adolph Eichmann, l’ideatore dei piani per sterminare gli ebrei, nel 1954 finì a lavorare come informatore della CIA. Quando il ministero della giustizia lo scoprì, nel 1981, lo estradò. Il suo caso non è nuovo, e la sua collaborazione con la CIA era nota già da diversi anni. Un altro nazista, lo scienziato Arthur L. Rudolph, fu ingaggiato nell’ambito di un programma per il reclutamento – e, quindi, il salvataggio – di alcuni tra i migliori e più esperti scienziati nazisti. Rudolph collaborò alla costruzione del razzo Saturn V. Nel 1989, quando il ministero della giustizia lo accusò di aver portato alla morte “migliaia di lavoratori usati come schiavi”, si disse innocente ma lasciò gli Stati Uniti, facendo ritorno in Germania.

Poi ci sono i fallimenti. Il rapporto documenta il fallimento degli incontri tenuti da alcuni funzionari statunitensi con esponenti del governo lettone allo scopo di convincerli a estradare le persone sospettate di collaborare con i nazisti, e dettaglia come l’Ufficio speciale scambiò John Demjanjuk, un pensionato americano, per il cosiddetto “Ivan il Terribile”, lo sterminatore del campo di concentramento di Treblinka, in un caso di cui si è molto parlato negli ultimi anni.

Un caso particolarmente curioso riguarda un funzionario dell’Ufficio speciale, che conservò per anni in un cassetto della sua scrivania un pezzo dello scalpo del dottor Josef Mengele, il medico e ufficiale nazista responsabile degli esperimenti di eugenetica nei campi di sterminio fuggito in Sudamerica alla caduta del regime. L’Ufficio speciale a metà degli anni Ottanta cercava di capire se nel corso della sua latitanza Mengele aveva messo piede negli Stati Uniti e se era ancora vivo. Gli investigatori utilizzarono lettere e diari apparentemente scritti da Mengele negli anni Settanta, per mettersi sulle sue tracce, e risalirono poi alla sua morte, avvenuta in Brasile nel 1979. Riesumarono la salma, sepolta sotto falso nome, e confrontarono il DNA con quello del fratello di Mengele, arrivando alla conclusione che sia lo scalpo che il cadavere erano del medico nazista, e che questo non era mai entrato negli Stati Uniti.