La resa di Conso

Cosa significano le ammissioni dell'ex ministro della Giustizia sulla trattativa con la mafia

Due giorni fa l’allora ministro della Giustizia Giovanni Conso ha dichiarato alla Commissione Antimafia di aver acconsentito nel 1993 a non rinnovare il regime di carcere duro per i mafiosi “per evitare altre stragi”. Oggi ne scrive Attilio Bolzoni su Repubblica cercando di ricostruire intorno a quelle poche parole di Conso.

È la prima volta che un uomo di governo dell’epoca confessa un cedimento, un gesto di resa verso la mafia siciliana. È la prima volta, dopo una sconcertante omertà di Stato, che qualcuno ammette di avere cercato una tregua con Cosa Nostra. In tempi di guerra volevano fare la pace con i boss “per evitare altre stragi”. La deposizione in Commissione Antimafia dell’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso apre un varco intorno a quella trattativa cominciata con l’uccisione di Falcone e mai finita.
C’era nel 1992 fra gli attentati di Capaci e di via D’Amelio con la stesura del famoso papello custodito da Vito Ciancimino, c’era fra la misteriosa cattura di Totò Riina e le bombe di Firenze, c’era ancora nella seconda metà degli Anni Novanta quando Bernardo Provenzano girava indisturbato per Palermo e quando i capi più rappresentativi dell’organizzazione lanciavano l’offerta di una dissociazione di massa. E, assumendo anno dopo anno forme diverse, quella trattativa si è trascinata fino a questi ultimi mesi con le enigmatiche mosse dei fratelli Graviano di Brancaccio, ergastolani che hanno fatto intendere di voler negoziare lanciando messaggi “a chi non ha mantenuto gli impegni”. Destinatario finale: Silvio Berlusconi.

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