«Non sono più un blogger»
Marc Ambinder è stufo del giornalismo online e annuncia il passaggio definitivo alla carta stampata
Marc Ambinder è l’editorialista politico dell’Atlantic Monthly e aveva aperto un blog nel 2005, quando sui blogger e sul giornalismo online c’era assai più diffidenza di quanta non ce ne sia oggi. Il suo blog era uno dei più seguiti tra quelli che si occupano di politica americana, anche se non erano mancate alcune incursioni di cronaca personale (nel 2010 l’aveva usato per raccontare l’intervento chirurgico a cui si era sottoposto per ridurre la sua obesità). Oggi ha annunciato la chiusura del suo blog sull’Atlantic dicendo che d’ora in poi scriverà quasi esclusivamente per la carta stampata, sul National Journal. Il suo ultimo post si intitola «I am a blogger no longer», ed è una lunga riflessione sull’evoluzione del giornalismo e sulle differenze tra online e carta stampata.
Questo è il mio ultimo post per l’Atlantic. Quando ho iniziato, cinque anni fa, i giornalisti non avevano un blog. I giornali e le riviste assumevano dei curatori che si occupavano dei loro siti web e i giornalisti si limitavano a postare qualcosa online occasionalmente, ma c’era una rigida distinzione basata sulla diversità delle due piattaforme. Eri considerato un giornalista solo se la tua firma appariva sulla carta stampata. Altrimenti eri considerato soltanto un blogger. E non volevi essere un blogger, perché i blogger al tempo erano considerati cittadini di serie B del paese del giornalismo. I blogger erano degli attivisti partigiani, urlatori, provocatori, parvenu.
La mia esperienza non è stata unica, ma ha coinciso con l’evoluzione di questa nuova specie di reporter. Ho avuto un po’ di tempo per riflettere sugli effetti che questa attività praticata notte e giorno ha avuto sul mestiere del giornalismo, sulla qualità della raccolta e distribuzione delle notizie e sulle persone che se ne occupano. Ho scritto abbastanza spesso sui primi due argomenti e ho partecipato a molte discussioni sul tema. Tutto quello che dico qui è che il semplice fatto che i giornalisti online sentano di dover partecipare a tutte le infinite discussioni su questi argomenti è una delle ragioni per cui occuparsi principalmente di giornalismo online può essere così stancante. Il loop dei feedback è incessante, pesante e basato sulla convinzione che quello che dice il giornalista è sbagliato. Sfortunatamente, lo standard per definirsi giornalista online dipende dalla capacità di stabilire una certa credibilità con un pubblico particolare di critici. Rispondere alle critiche su contenuti, struttura e opinioni è parte del modo con cui quella credibilità viene stabilita.
Quindi Ambinder passa a un’analisi di quella che secondo lui è la differenza principale tra giornalismo in rete e giornalismo su carta, ribaltando la consueta opinione che l’uso dei racconti personali online abbia svecchiato l’informazione tradizionale.
Il giornalismo di qualità su carta è privo di ego. Con questo non voglio dire che l’autore non abbia voce in capitolo, o che manchi di opinione, o che addirittura non voglia prendere una posizione. Quello che voglio dire è che l’autore in quel caso è capace di lasciare che la storia e il processo di reporting si dispieghi al meglio delle sue capacità senza che le sue insicurezze o le sue preoccupazioni personali intervengano. Il blogging invece è un’attività in cui l’ego è molto importante. Anche nelle storie più semplici, il format richiede sempre che ti inserisca nella narrazione. Ci si aspetta non solo che tu abbia un punto di vista e che lo espliciti, ma anche che mostri sicurezza rispetto al fatto che quello è il punto di vista giusto. Non c’è niente di sbagliato in questo. Così come si può costruire un punto di vista oggettivo, «uno sguardo dal nulla» come dice Jay Rosen, allo stesso modo si può facilmente costruire uno sguardo da qualche parte. Non puoi dire di essere davvero un reporter se non ce l’hai. Non mi interessa se le persone sanno le mie opinioni politiche; non è un segreto la mia posizione sui matrimoni gay, sul cambiamento climatico, e non vorrei che fosse in nessun altro modo. Quello che spero di trovare rinfrescante con questo cambiamento di format è che non sarò più obbligato a trasformare ogni pezzo di prosa in un argomento personale e definitivo, che possa essere collocato in quella cornice coerente che appartiene alla personalità web «Marc Ambinder», che la gente legge proprio perché è «Marc Ambinder» e non perché è qualcosa di bello e interessante.
Ambinder continua scrivendo che preferirebbe addirittura passare un mese senza dover firmare un singolo articolo. La cosa a suo giudizio consentirebbe agli articoli di essere apprezzati solo per il loro valore contenutistico invece che per il valore della firma associata, di cui riconosce il peso anche sulla carta stampata. E spiega quello che gli è mancato in questi cinque anni di blogging.
Ho amato la libertà di scrivere di tutto quello che volevo, ma mi è mancata la disciplina di imparare di cosa c’era bisogno di scrivere. Ho amato lo stile leggero del blogging, ma mi è mancata la mano pesante di un editor che ti dice quando qualcosa fa schifo e deve essere riscritto. […] Ora avrò qualcuno che mi dirà ogni giorno che cosa sto facendo di giusto e che cosa sto facendo di sbagliato. Sarà una grande opportunità per me di crescere come scrittore e come reporter.
Quindi conclude dicendo che continuerà solo occasionalmente a scrivere brevi post sul sito del National Journal e sul suo account Twitter.
Penso ancora che nonostante gli sforzi combinati che ho fatto insieme a una dozzina di altri, la parola “blogger” porta con sé ancora una certa dose di stigma tra gli editor di alto livello e tra chi detta gli standard di questo mestiere, che dovrebbero essere cancellati. Ho fatto del mio meglio negli ultimi cinque anni, ma confesso di avere un attaccamento romantico alla carta e alle riviste, che è uno dei motivi per cui sono arrivato fino all’Atlantic e al National Journal quando ho potuto. Nel mio nuovo ruolo, farò ancora molto online writing ma in modo molto diverso da quello che ho fatto finora e credo che anche i miei lettori lo consumeranno in modo diverso.