Tonalità fantozziane

La confessione dell'uomo che portò a Berlusconi il nastro Fassino-Consorte fa un po' ridere ma scagiona Silvio Berlusconi

Silvio, sinistra, e Paolo Berlusconi, assistono al funerale della zia ottantenne Edvige Maria, oggi a Milano. (AP Photo/Stefano Cavicchi)
Silvio, sinistra, e Paolo Berlusconi, assistono al funerale della zia ottantenne Edvige Maria, oggi a Milano. (AP Photo/Stefano Cavicchi)

“Tonalità fantozziane” è l’espressione usata stamattina da Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella nell’articolo che il Corriere della Sera dedica alla confessione di Roberto Raffaelli, accusato di avere consegnato a Silvio Berlusconi la registrazione della conversazione tra Piero Fassino e Giovanni Consorte assieme al suo collega Fabrizio Favata. La storia è ormai abbastanza nota e la novità di ieri è che Paolo Berlusconi, editore del Giornale, sarebbe indagato anche per rivelazione del segreto d’ufficio, dopo l’accusa di ricettazione di cui si era saputo lo scorso giugno. L’oggetto dell’indagine è l’intercettazione del luglio 2005 tra il presidente di Unipol Giovanni Consorte e l’allora leader dei DS Piero Fassino (quella dove Fassino chiese a Consorte: “Ma abbiamo una banca”?): intercettazione pubblicata dal Giornale il 31 dicembre 2005 quando non era ancora stata depositata agli atti e divenuta come previsto un’arma fortissima contro il centrosinistra, accusato di traffici di potere di solito appannaggio del centrodestra.

Gli unici a possedere l’intercettazione erano allora gli ufficiali della Guardia di finanza e l’azienza privata Research control system (RCS) che svolgeva le intercettazioni per conto della Procura. Fabrizio Favata, imprenditore e socio di RCS, sostiene da mesi di aver portato personalmente – insieme a Roberto Raffaelli – il nastro con l’intercettazione a casa Berlusconi: dice di averlo fatto ascoltare a Paolo e Silvio Berlusconi e di averlo ceduto loro, dietro grandi ringraziamenti (“La mia famiglia vi sarà grata in eterno”).

Adesso la versione di Favata è stata confermata anche da Raffaelli, e qui intervengono i dettagli a cui allude il Corriere della Sera.

Raffaelli, asserendo d’aver sinora mentito solo per tentare di salvare l’azienda, oggi aggiunge tonalità fantozziane alla visita natalizia ad Arcore in compagnia di chi l’aveva propiziata: e cioè Fabrizio Favata, controversa figura con alle spalle problemi giudiziari, ex socio di Paolo Berlusconi nel flop della IP Time, che da Raffaelli (tramite un altro imprenditore produttore di fatture false, Eugenio Petessi) aveva appreso dell’esistenza di quell’intercettazione politicamente preziosa, e aveva subito pensato di trarne soldi per sé e raccomandazioni governative all’estero per Rcs.
L’uomo al quale la Procura si affidava per le intercettazioni, infatti, adesso racconta che il computer portato ad Arcore ebbe difficoltà di accensione e di caricamento, fino a impallarsi. Il tempo trascorso finì così per annoiare il presidente del Consiglio, che si sarebbe persino appisolato, mentre Paolo Berlusconi avrebbe rinviato la questione. A distanza di qualche giorno, il fratello del premier chiese a Raffaelli se fosse possibile ottenere una copia del contenuto del computer: richiesta che Raffaelli afferma d’aver esaudito, spedendo per posta in forma anonima alla sede de Il Giornale una «chiavetta» informatica con la telefonata poi pubblicata il 31 dicembre 2005 e il 2 gennaio 2006.

Il racconto di Favata finora riferiva di una frase di Silvio (“Grazie, la mia famiglia vi sarà grata in eterno”) solo parzialmente in contraddizione con quello di Raffaelli. A parte le tonalità fantozziane, spiegano i giornalisti del Corriere, il risultato di questa versione è quello di sottrarre ad accuse di complicità Silvio Berlusconi, addormentato al momento delle scelte.

Suo fratello Paolo, invece, in virtù del successivo ruolo che avrebbe avuto nel farsi dare una copia dell’audio poi pubblicato sul quotidiano di famiglia, ieri si è visto notificare un avviso di conclusione delle indagini, quale «editore de Il Giornale », per l’ipotesi di reato di «concorso nella rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio, in favore del fratello Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio», commesse dall’ «incaricato di pubblico servizio e ausiliario di polizia giudiziaria» Raffaelli: reato evidentemente ritenuto dal pm Maurizio Romanelli più sostenibile in giudizio della ricettazione dell’audio per la quale Paolo era stato indagato all’inizio.
Una ricettazione è contestata all’editore, ma di altro tipo e in concorso con Favata: Raffaelli, dopo aver creato la disponibilità di fondi neri in Rcs attraverso Petessi (che difeso dall’avvocato Giuseppe Pezzotta aveva spiegato il giro di fatture), è accusato di aver disposto la consegna di 500 mila euro in contanti a Favata «per la successiva consegna a Paolo Berlusconi» tra la metà 2005 e la metà 2006, «quali compensi asseritamente destinati a favorire attraverso canali istituzionali le prospettive di espansione di Rcs sul mercato estero». Solo che l’aiuto promesso dal fratello del premier sarebbe stato fumoso: per questo Paolo Berlusconi è incriminato anche per millantato credito, nell’ipotesi che abbia ricevuto i 500mila euro «con il pretesto di dover comprare il favore di pubblici ufficiali o quantomeno come prezzo della propria mediazione».
E Favata? Per aver usato la minaccia di raccontare tutto ai magistrati o all’ Unità e all’Espresso, le imputazioni sono di estorsione nel costringere Raffaelli a versargli «una somma nell’ordine di decine di migliaia di euro » ; e di tentata estorsione ai danni delle qui «parti lese Paolo e Silvio Berlusconi», per aver cercato di battere cassa anche «mediante contatti personali con l’avvocato Ghedini», in questo caso «non riuscendo per cause indipendenti dalla sua volontà e in particolare per la non accettazione del pagamento».

– Gli articoli del Post sull’inchiesta sul nastro Unipol