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  • Lunedì 27 settembre 2010

I russi nella UE, passando da Riga

I sondaggi danno un partito russofilo favorito alle elezioni di sabato in Lettonia

di Paolo Pantaleo

Saeimas deputaøts Jaønis Urbanovicÿs Saeimas seødes laikaø 2007.gada 8.februaøriø.

Foto: Inga Kundzinüa/afi/
Saeimas deputaøts Jaønis Urbanovicÿs Saeimas seødes laikaø 2007.gada 8.februaøriø. Foto: Inga Kundzinüa/afi/

C’è un Paese membro della Unione Europea che potrebbe ritrovarsi nei prossimi giorni guidato da un governo che parla russo. In Lettonia sabato 2 ottobre si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento e il partito russofilo SC è in testa ai sondaggi. Si chiama “Centro dell’Armonia” (Saskanas Centrs)  e sta sconvolgendo gli equilibri del sistema politico lettone: attira il voto dei giovani, con prevalenza della popolazione russa che vive in Lettonia. SC è nato nel 2005 dalla fusione di alcuni piccoli partiti, di orientamento socialdemocratico, con qualche presenza di alcuni esponenti del passato regime sovietico. È un partito di tendenza russofila, anche se meno radicale del PCTVL, il partito dei tradizionalisti e radicali russi, nelle cui file alle ultime europee si candidò anche l’italiano Giulietto Chiesa.

La Lettonia è un paese del tutto particolare nel panorama europeo. La componente russa della popolazione raggiunge il 30%, ma è addirittura quasi la maggioranza nella capitale Riga, dove Saskanas Centrs lo scorso anno ha ottenuto un travolgente successo nell’elezione del Consiglio Comunale: Nils Ušakovs è diventato il primo sindaco russofilo di Riga dal crollo dell’Urss.
La grande immigrazione russa della Lettonia avvenuta negli anni ’50 e ’60 con l’obiettivo di realizzare i piani industriali che l’Urss assegnava allo stato baltico ha lasciato in eredità un paese spezzato in due, con una maggioranza di popolazione russofona nella capitale Riga e nella regione del Latgale, al confine con la Russia.

Oggi la convivenza fra russi e lèttoni è piuttosto complessa, soprattutto per via della lingua. A Riga si sente parlare russo ovunque: i russi non hanno una gran voglia di imparare il lèttone e sono così tanti che spesso non ne hanno bisogno: anche perchè i lèttoni il russo lo parlano bene, specie quelli non troppo giovani, che lo dovevano imparare per forza a scuola. Per salvaguardare la propria lingua la Lettonia oggi concede la cittadinanza solo a coloro che siano in grado di superare un esame di storia e di lingua lèttone, ma questo è sentito dai russi come una discriminazione (una questione simile, ribaltata, riguarda l’Estonia).
Ed è proprio l’uso della lingua uno dei temi più sensibili anche in questa campagna elettorale: nel paese ci sono giornali in lingua russa, le televisioni private per larga parte della giornata trasmettono programmi in lingua russa, nei negozi, negli uffici della capitale è frequente incontrare personale che si esprime in lingua russa.

Alcune settimane fa è scoppiata una furibonda polemica televisiva, quando il ministro lettone dei trasporti Kaspars Gerhards si è rifiutato di parlare in russo in una trasmissione di TV5 con un target indirizzato ad un pubblico russo, in cui il giornalista gli poneva domande in russo. Si comprende l’idiosincrasia della pubblica opinione lettone sull’argomento. Più che una questione di nazionalismo assume i contorni di una lotta per la sopravvivenza.
I due maggiori partiti lèttoni attualmente al governo – definibile in qualche modo di centro moderato-conservatore – sono PS (Pilsoniska Savieniba – Unione dei Cittadini) e JL (Jaunais Laiks – Nuova Era) e si sono uniti per formare Vienotiba (Unità) ricandidando premier l’attuale primo ministro Valdis Dombrovskis.
Un’altra nuova formazione politica è quella del PLL (Par Labu Latviju – Per una buona Lettonia), costituita da esponenti del mondo imprenditoriale lettone ma che a Riga sostiene il sindaco russofilo e che nel nuovo Parlamento potrebbe replicare tale accordo, anche se il canditato premier di PLL Ainārs Šlesers ha escluso in un recente intervista di poter votare un governo guidato dal leader di SC Jānis Urbanovičs.

In Lettonia funziona un sistema proporzionale, e il numero di partiti (che poi ad ogni tornata elettorale cambiano nomi e alleanze) e gli accordi possibili possono essere talmente tanti da far impallidire la nostra Prima Repubblica. Il trasformismo parlamentare poi è un evento naturale come la neve.
Nei sondaggi Saskanas Centrs è dato al primo posto, con Vienotiba al secondo, al terzo ZZL, una formazione assimilabile ai verdi con una forte componente contadina, appoggiata anche del potente sindaco di Ventspils Aivars Lembergs, e Par Labu Latviju al quarto. Con lo sbarramento al 5% altre formazioni, come i nazionalisti di TB (Tevzemei un Brivibai – Per la patria e la libertà) e il PCTVL, il partito dei tradizionalisti russi, rischiano di non entrare nel nuovo Parlamento.
Il candidato premier di Saskanas Centrs, Jānis Urbanovičs potrebbe dunque diventare il primo capo di governo russofono dalla fine dell’Urss, anche se poi i giochi in parlamento potrebbero essere complessi.

Fino a che non si sapranno i risultati delle elezioni di sabato prossimo, ogni congettura sul futuro governo della Lettonia è possibile. Ago della bilancia fra i due contendenti maggiori, Saskanas Centrs e Vienotiba, potrebbe essere il partito dei verdi e dei contadini, ma al momento non è neppure da escludere la grande coalizione, con lèttoni e russofili che potrebbero gestire un governo di larga maggioranza che possa permettersi quelle riforme impopolari necessarie per tirar fuori la Lettonia dalla crisi economica fra le peggiori di tutti i paesi dell’Eu.
La mano di Putin, già fortemente presente negli investimenti e negli interessi commerciali della Lettonia, una minoranza russa così numerosa e coesa, ed una crisi economica profonda, possono essere fattori destabilizzanti per il futuro della Lettonia e le sue prospettive nell’Unione Europea, specie se nel prossimo Consiglio dei Ministri si dovesse parlare più russo che lèttone.