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Il Giornale pubblica le carte

L'inchiesta su Fini e la casa di Montecarlo si arricchisce oggi di elementi più concreti: una fattura e un testimone

Sulla storia su Fini e la casa di Montecarlo eravamo rimasti a ieri, col Giornale che presentava le testimonianze anonime di persone che dicevano di:

– aver presentato diverse offerte per acquistare l’immobile, superiori a quella di 300 mila euro della società offshore accettata da AN nel 2008
– aver visto più volte Gianfranco Fini ed Elisabetta Tulliani nell’appartamento di Montecarlo, dopo la cessione dell’immobile di AN alla società offshore
– aver visto più volte Gianfranco Fini ed Elisabetta Tulliani in un mobilificio della Capitale occuparsi dell’arredamento della casa di Montecarlo

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Il presidente della Camera ha reagito parlando di “delirio diffamatorio” e decidendo di querelare il Giornale, accusato di pubblicare calunnie fornite da qualsiasi persona dietro la tutela dell’anonimato. Oggi il Giornale risponde al presidente della Camera pubblicando due nuovi elementi a corredo della sua inchiesta.

Il primo è una fattura emessa da un mobilificio di Roma, intestata a nome “Tulliani” e datata 22 gennaio 2010. Secondo il Giornale, è la prova che Elisabetta Tulliani e Gianfranco Fini si siano interessati personalmente all’arredamento della casa di Montecarlo, mentre Fini ha sempre detto di non avere niente a che fare con l’attuale proprietà dell’immobile e anzi di aver mostrato “sorpresa e disappunto” quando ha appreso che il fratello della sua compagna lo aveva preso in affitto. In realtà la fattura riporta solo il cognome Tulliani, e quindi niente esclude che sia stata intestata a Giancarlo Tulliani, inquilino della casa di Montecarlo e responsabile della sua ristrutturazione.

Il Giornale pubblica allora un’intervista a sostegno della tesi per cui quel cognome Tulliani starebbe per Elisabetta e non per Giancarlo. Si tratta di un’altra intervista a un ex impiegato del mobilificio, come quella già pubblicata ieri, ma con un elemento in più: stavolta non è anonima. La persona che parla al Giornale dice di chiamarsi Davide Russo e di avere lavorato in quel mobilificio fino a pochi giorni fa. Proprio l’inchiesta del Giornale e le sue richieste di spiegazioni lo avrebbero spinto a raccontare quello che sa, e per farlo Russo racconta addirittura di aver dato le dimissioni dal suo incarico: lasciare il lavoro per parlare al Giornale.

Russo conferma le cose dette ieri anonimamente al Giornale e dice che «chiunque ha lavorato per il negozio in quei mesi ha visto la Tulliani farci visita parecchie volte». E non da sola: in compagnia di Fini. Questo non implica necessariamente che i due stessero arredando la casa di Montecarlo, però. Questa è la versione di Russo.

«La certezza non posso averla. Quello che so, e che si diceva tra colleghi all’interno dell’azienda, è che preventivi, ordini, progetti d’arredo erano per un appartamento non italiano. Si parlava apertamente di una “casa a Montecarlo”, quando ci si riferiva ai preventivi della Tulliani. E dopo il passaggio alla fase progettuale, con gli arredatori per cucina e altri ambienti, quella localizzazione fu confermata dall’esigenza di cercare uno spedizioniere di fiducia»

Russo si dice però certo che il trasporto era diretto all’estero: lo sa, dice, perché fu affidata a lui la responsabilità di trovare uno spedizioniere in grado di fare un trasporto così delicato – comprendeva diverse maioliche – da fare sotto festività e «di certo per l’estero».

«Non ho difficoltà a dire che, basandomi su quanto ci dicevamo nel negozio, nessuno dubitava che la meta fosse Montecarlo. Ma l’input per la ricerca era: spedizione oltreconfine».

Russo conferma poi di aver visto Fini in negozio, seduto a un tavolo insieme a Elisabetta Tulliani e agli arredatori, e racconta che il mobilificio ha chiesto ai suoi dipendenti la massima riservatezza. Rimane la domanda sul perché Russo sia venuto allo scoperto, anche a costo di licenziarsi. Questa la spiegazione che fornisce al Giornale.

«Il negozio, è chiaro, non c’entra nulla con gli aspetti controversi di questa storia. Anzi, se alla fine ho deciso di farmi avanti, è anche per tutelare un’attività commerciale a cui sono legato, affezionato. Capisco che loro preferiscano tenere il punto, finché potranno. Io mi sono svincolato proprio per non coinvolgerli»