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  • Sabato 24 luglio 2010

I veterani potranno fare uso di marijuana

Non perderanno più il diritto ad usare altri medicinali come accadeva finora

Negli ultimi mesi il dibattito sulla legalizzazione della marijuana negli Stati Uniti si è fatto sempre più acceso, e il movimento a favore si sta rafforzando sempre di più. Attualmente è già legale per uso terapeutico in 14 stati più il District of Columbia e il prossimo autunno altri sei stati considereranno se aprire o meno un referendum sulla questione. In California sono invece al passo successivo, e il 2 novembre si voterà per legalizzarla del tutto o meno. E in tutti gli Stati Uniti la marijuana sta diventando sempre più un business, in quanto diverse società vorrebbero renderla un prodotto qualsiasi, regolarizzato come un brand. Il presidente di CannBe ha detto di voler trasformare la sua azienda nella «McDonald della cannabis».

È quindi un altro passo nella direzione della legalità la decisione del Dipartimento degli Affari dei Veterani degli Stati Uniti, che ha reso meno severe le regole che prima impedivano ai veterani di poterne fare uso terapeutico, anche negli stati in cui è permesso. Finora questo genere di decisioni erano state prese solo dagli stati, mai dal governo, e l’amministrazione Obama si è sempre tenuta ben lontana da esporsi in merito alla questione, limitandosi a dichiarare di aver intenzione di concentrarsi nel perseguire solo il traffico di droga di grosso calibro e non gli utilizzatori a scopi medici. La decisione del Dipartimento dei Veterani, un ramo del governo, è stata quindi accolta come un successo significativo dalle organizzazioni a favore della legalizzazione, scrive il New York Times.

I medici non potranno prescrivere cannabis. La direttiva serve invece a far chiarezza riguardo a un punto che le associazioni dei veterani contestano ormai da molti anni: sotto la legge federale in vigore finora i veterani colti a usare marijuana sarebbero stati privati delle altre medicine sotto le quali erano in cura, come gli antodolorifici. Questo ha portato molti di loro a non fidarsi del proprio medico e a omettere l’uso della droga leggera, che insieme all’uso di altri farmaci potrebbe avere effetti collaterali, o a lasciare gli ospedali gestiti dal Dipartimento dei Veterani.

«Quando gli stati legalizzano la marijuana siamo in una posizione particolare, perché in quanto agenzia federale abbiamo degli obblighi verso la legge federale», ha detto Robert Jesse, il vice-sottosegretario della sanità del dipartimento dei veterani. Allo stesso tempo, Jesse ha detto che «Non vogliamo che i nostri pazienti che fanno legalmente uso di marijuana vengano esclusi dai programmi per la cura del dolore.»

I reduci della guerra del Vietnam sono stati il primo gruppo a fare ampio uso di marijuana a scopo terapeutico, e in molti erano e sono in prima linea nel movimento per la legalizzazione. La cannabis servirebbere infatti loro per alleggerire il dolore fisico e psicologico e diminuire gli effetti collaterali di certi trattamenti medici particolarmente duri.

Il New York Times racconta poi la storia di David Fox (l’uomo nella fotografia) un veterano del Montana, stato in cui fumare marijuana a scopo terapeutico è legale. Fox la usava per alleviare il dolore della neuropatia, un disordine del sistema nervoso periferico, fino a quando uno dei dottori della sua clinica per veterani gli ha detto che avrebbe dovuto smettere, altrimenti avrebbe perso la possibilità di usare le medicine che gli venivano prescritte. Fox ha poi scritto al direttore del sistema sanitario dei veterani del Montana Robin Korogi per chiedere chiarimenti, ricevendo questa risposta:

«Negli stati in cui la marijuana a scopo terapeutico è legale, i pazienti devono scegliere quale medicazione usare per curare i loro dolori. In ogni caso, non è  appropriato che un medico dell’Associazione Veterani prescriva medicinali mentre il paziente fa uso di marijuana.»

Fox era scioccato dalla decisione. «Mi sentivo abbandonato», ha detto. «Io ho ancora bisogno dei miei antidolorifici. Pensavo avrebbero dovuto curarmi. Per me è stato devastante.»

Fotografia di Tony Demin per il New York Times