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  • Venerdì 16 luglio 2010

Le sanzioni contro l’Iran funzionano?

La Guardia Rivoluzionaria si arricchisce con il mercato nero incentivato dalle sanzioni

Con la misteriosa storia dello scienziato iraniano Shahram Amiri, negli ultimi giorni si è tornati molto a parlare della questione del nucleare in Iran. E dei mezzi usati finora per convincere il regime di Teheran a interrompere il suo programma. Il consiglio di sicurezza dell’Onu ha recentemente approvato su pressione degli Stati Uniti un quarto round di sanzioni. Ma finora la strategia sembra non avere pagato molto. Teheran continua a rifiutare di interrompere il suo programma, dicendo che non ha niente a che fare con la costruzione di una bomba atomica ma che servirà solo alla produzione di energia. E la Guardia Rivoluzionaria si arricchisce con il mercato nero incentivato proprio dalle sanzioni. Newsweek analizza il paradosso con un lungo articolo.

Ogni giorno dozzine di barche di piccole dimensioni salpano dalle coste del Dubai e attraversano le acque del Golfo per raggiungere l’Iran. Con la diminuzione del traffico dei grandi cargo (che non possono più raggiungere l’Iran appunto a causa delle sanzioni Onu, ndr) il mercato nero sta esplodendo e ad approfittarne è proprio la Guardia Rivoluzionaria Iraniana, che lo controlla da anni.

Le ultime sanzioni ONU mirano a punire la Guardia Rivoluzionaria per il programma nucleare. Ma il problema è che riducendo lo spazio per il mercato ufficiale, hanno finito per lasciare campo libero ai Pasdaran, che hanno passato decenni a specializzarsi nell’arte di aggirare le sanzioni. “State facendo arricchire proprio quelli che state cercando di combattere”, ha detto un imprenditore iraniano che ha preferito restare anonimo.

Il valore del mercato nero iraniano è stimato intorno ai 12 miliardi di dollari, ed è quasi controllato per intero dalla Guardia Rivoluzionaria Iraniana. Secondo Newsweek infatti solo i Pasdaran possono avere il potere per controllare un mercato così grande e per impedire che venga chiuso.

Gli analisti dicono che la Guardia Rivoluzionaria ha la struttura di un’organizzazione mafiosa, con dozzine di uomini d’affari apparentemente irreprensibili che in realtà coprono imprese illegali o vengono usati per il riciclaggio del denaro sporco. “Sono molto creativi con questo tipo di coperture, le aprono e le chiudono in continuazione”, spiega Matthew Levitt, esperto di controterrorismo per l’Istituto di Politica Mediorientale a Washington. Il giro d’affari della Guardia Rivoluzionaria è iniziato più di venti anni fa, alla fine della guerra tra Iran e Iraq: quando l’allora presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, temendo che la disoccupazione dei giovani che tornavano dal fronte potesse causare disordini, approvò un piano che consentiva alle Guardie Rivoluzionarie di aprire delle imprese.

Nel 2002 il portavoce del parlamento Mehdi Karrubi rivelò per la prima volta l’esistenza di porti illegali nel sud dell’Iran. Poco dopo, uno dei suoi assistenti rivelò che oltre la metà dei prodotti che finivano nel mercato nero entravano nel paese attraverso sessanta “porti invisibili”, come iniziarono ad essere chiamati. “Controllano qualsiasi cosa”, racconta Mohsen Sazegara, attivista iraniano al momento in esilio in Virginia, “c’erano i curdi che li aiutavano a far entrare le cose dall’Iraq, riuscivano anche a usare il petrolio di Saddam”. (Il New York Times la scorsa settimana ha scritto che ci sono molte autocisterne che portano grosse quantità di petrolio dall’Iraq all’Iran passando per il Kurdistan).

E mentre le Guardie Rivoluzionarie si arricchiscono, i commercianti regolari vedono crollare i loro affari. “Le sanzioni ci stanno danneggiando”, dice il vice presidente della sede della Camera del Commercio Iraniana in Dubai, “negli ultimi due anni abbiamo perso quasi il 70% dei nostri affari e quasi 400 aziende iraniane legali hanno chiuso i battenti qui in Dubai da quando Washington ha imposto sanzioni unilaterali nel 2007”.