La guerra per il pesce

Lo scioglimento dei ghiacci potrebbe innescare conflitti per lo sfruttamento delle nuove superfici di acqua libere e ricche di risorse ittiche

Parli di scioglimento dei ghiacci e pensi a Venezia sott’acqua. O agli atolli che scompaiono. I più preparati citano la corrente del Golfo del Messico, che si fermerebbe. Più raro che qualcuno pensi alla pesca, e alla lotta che si scatenerebbe per accaparrarsi le superfici di acqua libere e ricche di risorse ittiche. L’ammiraglio della marina americana Gary Roughead spiega al Boston Globe quali sono i pericoli che potrebbero sorgere.

“Avere molta più acqua a disposizione potrebbe essere un problema serio”, ha detto. Le possibilità di conflitti aumenterebbero con l’aumentare delle flotte navali che inizierebbero a spostarsi in giro per il mondo in cerca di nuove superfici da sfruttare. Le Nazioni Unite hanno dichiarato che il 52% delle riserve ittiche mondiali sono già completamente sfruttate e che un altro 27% sono sfruttate eccessivamente e molto impoverite. Ma in un mondo in cui il mercato della pesca è arrivato a valere novantuno miliardi di dollari nel 2006, lo sfruttamento andrà ancora avanti. Molti paesi in via di sviluppo sono infastiditi dal fatto che sempre più paesi sviluppati stiano iniziando a condurre operazioni di pesca su scala industriale a largo delle loro coste.

Nel caso della Cina la crescita della flotta navale della marina è stata parallela alla crescita esplosiva delle sue operazioni di pesca, in modo simile a quello che avvenne alla marina inglese e olandese in passato per difendere il loro commercio marittimo. Roughead ha detto che la Cina al momento conta per un quarto dello sfruttamento ittico mondiale. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2009, la quantità di risorse ittiche pescate dalla Cina finora ha già raggiunto i diciassette milioni di tonnellate, eguagliando quanto hanno pescato Perù, Stati Uniti e Indonesia messi insieme.

Stati Uniti, Canada, Russia, Norvegia e Danimarca hanno già iniziato a rivendicare alcuni territori nella zona artica, spingendo l’ammiraglio della marina cinese Yin Zhuo a dichiarare che il circolo polare artico appartiene a tutto il mondo e che nessuna nazione ha il diritto di esercitarvi la propria sovranità, con le dovute eccezioni: “la Cina deve avere un ruolo fondamentale nell’esplorazione dell’artico perché ha un quinto della popolazione mondiale”, ha spiegato.

Per Roughead, questo significa che gli Stati Uniti dovranno giocare un ruolo decisivo nella nuova arena acquatica globale. “Per prima cosa il Congresso dovrebbe approvare la convenzione sul mare delle Nazioni Unite”, ha aggiunto. La convenzione – che regola lo sfruttamento degli oceani – ha 160 paesi firmatari, ma non gli Stati Uniti. L’amministrazione Obama la supporta ma finora i gruppi conservatori hanno bloccato il passaggio in senato, sostenendo che gli Stati Uniti finirebbero per cedere spazi eccessivi alle Nazioni Unite in termini di sovranità territoriale e diritto di sfruttamento delle risorse. “Dobbiamo firmare quella convenzione per poterci sedere al tavolo delle trattative per la spartizione dei nuovi territori artici”, ha spiegato Roughead, “non farne parte limita la possibilità di sviluppare partnership di lungo periodo sul territorio marino, frena gli sforzi di espandere la Proliferation Security Initiative (il programma con cui gli Stati Uniti cercano di limitare il traffico di armi di distruzione di massa anche per mare) e aumenta i rischi per i nostri marinai nel momento in cui svolgono operazioni per difendere il diritto e la libertà di navigazione”.