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L’affare McChrystal

Cosa è successo tra il presidente Obama e il capo dell'esercito americano in Afghanistan

di Francesco Costa

Aggiornamento: all’arrivo al Pentagono, il generale McChrystal in una dichiarazione a NBC News ha negato di aver offerto le proprie dimissioni. Il New York Times invece riferisce che McChrystal ha consegnato alla Casa Bianca le proprie dimissioni, ma non si sa se queste sono state accettate o no. L’incontro tra Obama e il generale si è concluso intorno alle 16,30.

Il generale Stanley McChrystal sta volando da Kabul a Washington, probabilmente portando con sé la lettera con cui annuncia le sue dimissioni dall’incarico di capo delle forze armate statunitensi in Afghanistan. A Washington incontrerà Barack Obama, che soltanto un anno fa, nel giugno del 2009, gli affidò l’incarico militare operativo più importante e delicato che avesse da affidare. Non è ancora chiaro se Obama deciderà o no di accettare le dimissioni di McChrystal: e nonostante il generale sia stato convocato d’urgenza a causa di quanto pubblicato dalla rivista Rolling Stone – ci arriviamo – la decisione di Obama potrebbe dipendere poco sia dal contenuto dell’articolo in questione sia da quello che i due si diranno nello Studio ovale. Per capire perché, però, bisogna ricostruire questa storia dall’inizio.

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Questo è quello che è successo negli ultimi due giorni. Un lungo articolo pubblicato sul numero di questo mese della rivista Rolling Stone racconta della vita del generale McChrystal in Afghanistan, degli uomini che compongono il suo staff e dei giudizi sferzanti riguardo altri membri dell’amministrazione ai quali il generale si sarebbe lasciato andare più volte. Il presidente Obama “intimidito e a disagio” nel corso della loro prima riunione; il vicepresidente Joe Biden liquidato con un “bite me” (“fottiti”, più o meno); Jim Jones, consigliere per la sicurezza nazionale, “fermo al 1985”. Sono seguiti grandi imbarazzi, condanne trasversali, una lunga lettera di scuse da parte di McChrystal, il licenziamento del suo addetto stampa e la richiesta di Obama di incontrarlo subito per discutere dell’accaduto. Per quanto sarcastici, irridenti e certamente impropri, però, i giudizi di McChrystal non sono che un pezzo delle ragioni che hanno fatto infuriare Obama e potrebbero costargli il posto.

Già durante la campagna elettorale per le presidenziali, Obama aveva ribadito più volte come l’Afghanistan fosse il teatro fondamentale per la stabilizzazione dell’area e la lotta al terrorismo: molto più dell’Iraq, che anzi aveva distratto forze e attenzioni. A giugno 2009, quindi, Obama solleva il generale McKiernan dal comando dell’esercito americano in Afghanistan e nomina al suo posto Stanley McChrystal. Poco dopo, il segretario della difesa Bob Gates chiede a McChrystal un rapporto sullo stato della missione e sulle sue prospettive, e quel rapporto finisce – secondo molti, grazie allo stesso McChrystal – nelle mani dei giornalisti. Che diffondono quindi, come fosse una sentenza, il giudizio sulla missione in Afghanistan dell’uomo a cui Obama ne ha affidato le sorti: senza l’invio di almeno altri quarantamila soldati, la missione è fallita. Per capire quanto fosse gigantesca la richiesta di McChrystal basta dire che inviare quarantamila soldati avrebbe voluto dire triplicare il contingente americano: e farlo per mano di un presidente che aveva promesso di riportare le truppe a casa in tempi brevi.

Il fatto che il rapporto di McChrystal sia ormai pubblico mette Obama all’angolo, perché finisce per fissare un’asticella e spostare il centro del dibattito. Il tema non è più cosa farà Obama con la guerra in Afghanistan, bensì: Obama darà retta alle richieste dell’esercito? Se Obama accetta, rischia di deludere le aspettative di tanti elettori che con il loro sostegno lo hanno portato alla Casa Bianca. Se Obama rifiuta, non solo rischia di dare di sé un’immagine di disimpegno e debolezza, ma anche di compromettere dopo pochi mesi il rapporto con la persona che ricopre l’incarico operativo più importante del suo esercito. Passa l’estate, e in autunno l’amministrazione inizia un processo di revisione globale della missione in Afghanistan, della durata tre mesi. Tre mesi di incontri e riunioni coi massimi esperti mondiali di geopolitica, con i vertici dell’esercito, con il governo afghano. Alla fine l’amministrazione si trova di fatto divisa in due.

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