Cose che ho visto a Cannes/7

Settimo giorno dell'inviato del Post: Mick Jagger, Olivier Assayas e un'intervista a Takeshi Kitano

di Gabriele Niola

Giornata musicale cominiciata con una conversazione fatta con 5 batteristi contemporaneamente. Sono i protagonisti di Sound Of Noise, il film visto e raccontato ieri. Loro sono dei veri batteristi che, dopo quel video andato in rete in cui “suonano un appartamento”, sono stati contattati da un produttore per fare il lungometraggio. Da quel momento girano sempre con un registratore portatile per catturare suoni strani e curiosi e lasciarsi ispirare per le loro serate. La prima domanda e’ scontata: trovato qualche rumore interessante qui a Cannes? “Si, gli ascensori. Hanno un suono fantastico, dolce e sinuoso”.

Subito dopo corro a vedere un film da 5 ore e mezza, che se ti perdi l’inizio e non capisci nulla per 5 ore e mezza e’ pesante. Si tratta di Carlos di Olivier Assayas, opera pensata per la televisione (da cui la durata esagerata), che racconta di uno dei piu’ famosi terroristi filopalestinesi degli anni ’70 e ’80. Come capita spesso ai film molto molto lunghi non e’ noioso (altrimenti si scatena la guerra civile in sala) e mentre lo vedo non posso non notare come Assayas non abbia applicato il suo stile consueto ma si sia adeguato a quello di altre opere dal tema affine uscite negli ultimi anni come La Banda Baader-Meinhof o Nemico Pubblico (quello su Jacques Mesrine). Il tono con cui si guarda al criminale protagonista e’, come si conviene in queste pellicole, epico sebbene non apologetico.

L’appuntamento vero della giornata pero’ e’ quello con Takeshi Kitano. Nonostante il suo deludente film sia passato qualche giorno fa, lui era disponibile solo oggi per le interviste. Il personaggio e’ proprio curioso, io non lo avevo mai incontrato e qualche anno fa lo idolatravo, dunque non posso nascondere che mi era rimasta un po’ di emozione residua in fondo al cuore. Ho fatto anche la foto.

Gli ho chiesto se era vero quello che aveva detto nei suoi tre film precedenti, cioe’ che ha finito le idee (visto anche il film), ha risposto che “se quella trilogia sulla fine della mia creativita’ avesse incassato non avrei fatto questo film”. Poi gli ho chiesto anche se lui che fa esposizioni di quadri, film violenti, poetici, comici e televisione demenziale abbia in mente di realizzare qualcosa che riunisca tutti i suoi pubblici diversi. Alla mia lunghissima e male articolata domanda ha risposto prontamente con una sola parola giapponese che l’interprete ha tradotto con: “Si, una religione”. Lui e’ fatto cosi’.

L’altro personaggio della giornata e’ stato Mick Jagger, l’unico 67enne per il quale un quasi trentenne come me e’ disposto a fare una fila di due ore. E’ produttore di un documentario su come hanno inciso Exile on main street che passa alla Quinzaine. Si e’ presentato in giacca e scarpe da ginnastica e ha distribuito carisma a piene mani, se ne stava impalato a parlare in mezzo ad altre persone ma noi guardavamo solo lui. Mr. Rock ‘n’ roll himself.