Salvare il golfo col golf
BP riempirà il dispositivo di sicurezza che non funziona con palline da golf e rifiuti
Ingolfare la perdite di petrolio nel golfo con le palline da golf. Non si tratta di uno scioglilingua, ma della nuova strategia messa a punto da BP per cercare di arrestare la fuoriuscita di petrolio dal pozzo rimasto scoperto al largo della Louisiana in seguito all’affondamento della piattaforma petrolifera.
L’idea è semplice ed è stata già utilizzata in altre occasioni: intasare i tubi del dispositivo di sicurezza di contenimento del petrolio, che non sta funzionando da settimane, con rifiuti di vario genere e palline da golf. La speranza è che una volta ostruito, il condotto possa essere ulteriormente trattato per porre fine alla fuoriuscita del greggio. Una tecnica simile fu adottata durante la prima guerra del Golfo (quello dell’Iraq) per arrestare il flusso di petrolio dai pozzi incendiati dalle truppe irachene. Un’operazione complessa da realizzare in superficie, figurarsi a quasi 1500 metri di profondità nel mare.
Salvo cambiamenti di programma e problemi tecnici, gli esperti della BP dovrebbero tentare l’opzione rifiuti nei condotti nel corso della prossima settimana. Se il flusso sarà arrestato, si procederà poi alla posa di alcune tonnellate di fanghi pesanti per sigillare il fondale ed evitare altre perdite. Il timore è che la profondità, le basse temperature e la pressione molto alta possano compromettere l’operazione, allontanando la possibilità di arginare il problema in attesa del completamento di un pozzo alternativo, che non sarà probabilmente pronto prima di 90 giorni.
Le cose là sotto si complicano anche a causa della scarsa visibilità e alla necessità di utilizzare sommergibili guidati in remoto per svolgere le operazioni. Sul campo sono impegnati otto dispositivi, ma il coordinamento di tutta la strumentazione richiede il lavoro di decine di persone, racconta il New York Times. Oltre ai tecnici sulle navi in prossimità dell’area della perdita, diversi team lavorano 24 ore su 24 nel centro BP di Houston. Nelle stanze piene zeppe di monitor gli esperti controllano l’andamento delle operazioni, coordinano i movimenti delle barche nella zona, verificano che i sommergibili automatici non si scontrino tra loro e naturalmente tengono a bada la perdita di petrolio.
«Ci sono due elementi al lavoro qui. Uno è la scienza, e l’altro è basato sulla nostra esperienza passata su ciò che ha già funzionato» spiega l’esperto di pozzi petroliferi Pat Campbell. La possibilità di usare l’opzione rifiuti era stata ventilata a poche ore dall’incidente, ma elaborare un piano coerente, trovare il materiale e assemblarlo nel migliore dei modi ha richiesto tempo, rendendo necessari nel frattempo altri tentativi come la cupola di metallo da collocare sul fondale, al di sopra della perdita. Una prova fallita miseramente, a tal punto da attirare le ire di numerosi esponenti politici americani e del presidente Obama, visibilmente irritato per la conduzione delle operazioni da parte di BP.
In molti contestano alla società di non aver adottato tutte le misure di sicurezza e le precauzioni necessarie per evitare conseguenze così gravi nel caso dell’affondamento di una piattaforma. BP è impegnata in una corsa contro il tempo per arginare quanto più possibile il disastro, specialmente sulle coste della Louisiana dove flora e fauna rischiano di essere invase dall’ondata di petrolio.