Che fine hanno fatto i Verdi italiani?

In Germania stanno avendo un grande successo, ma da noi sono quasi scomparsi dopo alcune scelte politiche non proprio indovinate

(ANSA-FILIPPO MONTEFORTE)
(ANSA-FILIPPO MONTEFORTE)

Il successo dei Verdi alle elezioni locali in Baviera, dove sono stati il secondo partito più votato, ha reso di nuovo attuali i partiti ecologisti nel dibattito europeo. Secondo alcuni, i Verdi potrebbero essere la forza politica in grado di ridare energia e vitalità alla vasta area del centrosinistra che sembra in crisi di idee e di voti. Ma mentre nel Nord Europa i Verdi sono da sempre una forza in grado di raccogliere milioni di voti, nel resto del continente il loro successo è stato più altalenante. Per esempio, chi sa esattamente che fine abbiano fatto i Verdi Italiani?

La risposta è che sono dove sono sempre stati nella recente storia italiana: all’interno di un’alleanza elettorale e non proprio fortunata. Alle ultime elezioni politiche la Federazione dei Verdi ha fatto parte di Insieme, una piccola lista con il Partito Socialista e Area Civica. Insieme ha ottenuto lo 0,6 per cento dei voti senza riuscire a eleggere nessun candidato. I Verdi avevano ottenuto due candidature in collegi uninominali, tra cui quella di Angelo Bonelli, da quasi un decennio il principale leader del partito, ma nessuno dei due candidati è riuscito a farsi eleggere. È andata un po’ meglio alle ultime elezioni per le province autonome di Trento e Bolzano. In quest’ultima, la lista Verdi Grüne Vërc è riuscita ad eleggere tre consiglieri, mentre a Trento ha eletto un consigliere presentandosi all’interno della lista civica Futura 2018.

È dalla metà degli anni Novanta che i Verdi italiani – un po’ per scelta politica e un po’ a causa dei pochi voti che riescono a raccogliere, e non è chiarissimo quale sia la causa e quale l’effetto – si presentano all’interno di coalizioni o liste di cui sono una componente spesso minoritaria. Nella gran parte dei casi, sono state liste e coalizioni di sinistra radicale, cosa che li distingue in parte dai Verdi del Nord Europa. Un breve elenco di queste coalizioni – non del tutto esaustivo – include le elezioni politiche del 2013, quando i Verdi facevano parte di Rivoluzione Civile, la coalizione guidata dall’ex pubblico ministero Antonio Ingroia, e le elezioni del 2008, quando erano entrati nella Sinistra Arcobaleno, due operazioni politicamente fragilissime e fallimentari.

Prima ancora i Verdi hanno fatto parte dell’Unione e dell’Ulivo, con posizioni politiche praticamente sovrapponibili a quelle dei loro alleati di sinistra radicale. L’ultima volta che i Verdi parteciparono da soli alle elezioni politiche fu nel 1996, sotto il simbolo del Sole che ride che li rese famosi. All’epoca, presentandosi da soli alla Camera e con l’Ulivo al Senato, ottennero il miglior risultato della loro storia in termini parlamentari: 14 deputati e 14 senatori eletti grazie a un milione di voti. Sette anni prima, alle europee del 1989, il partito aveva ottenuto il suo miglior risultato in assoluto: 1,3 milioni di voti.

La “Federazione delle liste verdi” era nata tre anni prima, nel 1986, poco dopo la nascita di simili coalizioni nel resto d’Europa, in particolare quella settentrionale. I Verdi europei sono nati tutti insieme dalle prime istanze ambientaliste degli anni Settanta, in particolare quelle contro l’energia nucleare. Negli anni Ottanta ottennero una spinta determinante ai loro consensi dall’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina. Come i Verdi tedeschi, anche quelli italiani inizialmente ottennero l’appoggio e furono spesso guidati da personaggi che negli anni Sessanta e Settanta facevano parte della sinistra extraparlamentare. La fine della contestazione di quegli anni aveva infatti portato su temi ambientalisti molti di coloro che fino a pochi anni prima facevano parte di movimenti rivoluzionari di sinistra. Il più famoso in Italia è probabilmente Marco Boato, tra i fondatori di Lotta Continua, passato ai Verdi negli anni Ottanta.

Boato è stato spesso paragonato per la sua storia politica al più importante tra questi personaggi: Joschka Fischer, ex sessantottino poi principale leader dei Verdi tedeschi negli anni Ottanta e Novanta, vice cancelliere tedesco e ministro degli Esteri, oltre che uno dei politici più amati in Germania. Fischer fu il leader che per primo avvicinò e poi portò i Verdi tedeschi al governo, sia nelle regioni che nel paese, spostando il partito verso posizioni più centriste e liberali rispetto a quelle di contestazione. Uno dei principali problemi spesso indicati per spiegare la mancanza di successo dei Verdi italiani è proprio il fatto che tra le loro file non è mai emerso un leader popolare come Fischer.

Un’altra ragione è il posizionamento politico. Negli corso degli anni i Verdi tedeschi hanno spesso oscillato tra il privilegiare istanze di sinistra e temi ambientalisti. Pur restando sempre all’interno del centrosinistra, si sono spostati dalla sinistra della sinistra verso il centro. Oggi la gran parte dei dirigenti dei Verdi tedeschi considera il proprio partito una “cerniera”, collocata a sinistra, ma che può allearsi sia con i socialdemocratici della SPD che con i centristi della CDU. Le singole federazioni regionali dei Verdi hanno comunque posizioni molto varie. Quelli bavaresi che hanno ottenuto un ottimo risultato alle ultime elezioni sono più vicini al centro, mentre in altri stati, come Berlino, si collocano più a sinistra.

Anche in Italia i Verdi hanno spesso oscillato tra diverse posizioni politiche, schierandosi a volte a sinistra del PD e a volte scegliendo di essere suoi alleati. Ma a differenza dei Verdi tedeschi, hanno sempre combattuto le loro battaglie all’interno della sinistra, senza mai tentare aperture verso il centro. Nel corso degli anni Duemila, durante la guida di Alfonso Pecoraro Scanio, ad esempio, il partito si alleò con l’estrema sinistra, senza però riuscire a tornare in Parlamento. L’avventura di Pecoraro Scanio finì malissimo alle elezioni europee del 2009, quando la coalizione Sinistra e Libertà, nella quale erano confluiti, non riuscì a superare la soglia di sbarramento. Pecoraro Scanio lasciò la guida del partito a Bonelli (una parte del partito preferì invece staccarsi, completare l’abbandono dell’ambientalismo a favore della sinistra radicale e confluire in quella che sarebbe divenuta Sinistra Ecologia Libertà).

Nel frattempo, lo spazio politico dell’ambientalismo venne occupato con successo da Beppe Grillo che su questi temi costruì una parte dei primi successi del Movimento 5 Stelle. Anche in tempi recenti, i Verdi hanno subito questa concorrenza, come all’epoca del referendum sulle trivellazioni del 2016, quando le posizioni ambientaliste ed ecologiste furono quasi monopolizzate dal Movimento. Al partito guidato da Bonelli non rimase che proseguire nella strategia di partecipare a coalizioni di sinistra, scegliendo a volte la sinistra radicale, come quando sostennero i referendum per estendere l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori anche alle imprese sotto i 15 dipendenti, a volte quella più tradizionale, come lo scorso 4 marzo, quando si allearono con il PD. Gli scarsi risultati di coalizioni e referendum hanno avuto la conseguenza di diluire la visibilità del partito fino quasi a farlo scomparire. Dopo le dimissioni di Bonelli in seguito al pessimo risultato di Insieme lo scorso marzo, il difficile compito di far rivivere al partito almeno una parte del successo ottenuto dai cugini tedeschi è passato agli altri due coordinatori del partito, Luana Zanella e Gianluca Carrabs.