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  • Martedì 31 ottobre 2017

L’Islanda vuole riavere le sue foreste

I vichinghi tagliarono tutti gli alberi, in giro ce ne sono pochissimi: ora con molta fatica stanno provando a ripiantarli

Un paesaggio islandese sulle rive del lago Myvatn, fotografato il primo giugno 2017 (Joe Raedle/Getty Images)
Un paesaggio islandese sulle rive del lago Myvatn, fotografato il primo giugno 2017 (Joe Raedle/Getty Images)

Una delle cose per cui è nota l’Islanda è la quasi totale assenza di alberi sul suo territorio. Alcuni piccoli boschi ci sono, ma molti meno rispetto agli altri paesi nordici perché tra l’Islanda subì un grosso processo di deforestazione tra il nono e l’undicesimo secolo, quando per la prima volta delle persone si stabilirono sull’isola. La carenza di alberi è una delle caratteristiche che rendono unico il paesaggio dell’Islanda, e lo hanno fatto diventare spesso un set di film e serie tv, ma è anche una fonte di problemi, sia per l’agricoltura che per il clima del paese. Per questa ragione molti gruppi di volontari stanno cercando di piantare e far crescere nuovi alberi. Il New York Times ha pubblicato un articolo sui loro sforzi e sulle difficoltà che devono affrontare.

Avere delle foreste migliorerebbe la vita degli islandesi per varie ragioni. In primo luogo la carenza di alberi è una delle ragioni per cui in Islanda c’è un grave fenomeno di erosione del suolo, dato che non ci sono radici diffuse a trattenere la terra. L’erosione – causata tra le altre cose dal vento, dal movimento di neve e ghiaccio quando arriva la primavera e dalla leggerezza delle ceneri vulcaniche che in parte compongono il suolo – lascia scoperta la parte rocciosa della superficie terrestre, quella in cui non si può coltivare o lasciare crescere un pascolo per gli animali d’allevamento. Ha poi altri svantaggi: quando c’è molto vento (capita spesso visto che l’Islanda è un’isola in mezzo all’oceano Atlantico) si creano delle tempeste di sabbia che danneggiano le coltivazioni e la vernice delle automobili, tra le altre cose.

Per questo il territorio dell’Islanda è considerato un deserto, sebbene piova molto: un “deserto umido”. Se ci fossero più alberi, il suolo starebbe di più al suo posto, il lavoro degli agricoltori e degli allevatori sarebbe più semplice e ci sarebbero meno tempeste di sabbia.

La chiesa di Pingvellir, nel parco nazionale Thingvellir, vicino alla quale ci sono alcuni degli alberi islandesi, nel luglio del 2006 (MARCEL MOCHET/AFP/Getty Images)

Una maggiore presenza di alberi servirebbe anche ad assorbire le emissioni di anidride carbonica prodotte dai trasporti e dalle industrie islandesi, riducendo così il ruolo dell’Islanda nel cambiamento climatico: per le piante l’anidride carbonica è quello che l’ossigeno è per gli animali. Nonostante gli islandesi sfruttino varie fonti di energia rinnovabili – soprattutto l’energia idroelettrica e quella geotermica – in Islanda le emissioni di gas serra per abitante sono abbastanza alte. Il governo ha preso l’impegno insieme all’Unione Europea e alla Norvegia di ridurle del 40 per cento rispetto a quelle del 1990 entro il 2030.

Uno dei rari boschi dell’Islanda, nell’est del paese (Paul Mayall/picture-alliance/dpa/AP Images)

Già nel 1882 il governo dell’Islanda – che all’epoca era un territorio della Danimarca – avviò dei piani di rimboschimento, ma nel tempo non ci sono stati grossi miglioramenti. Negli ultimi tre anni sono stati piantati più di tre milioni di alberi, ma la superficie del paese coperta da foreste è ancora poco maggiore dell’1 per cento stimato all’inizio del Ventesimo secolo: non è così semplice piantare e far crescere gli alberi. Non si può semplicemente piantare un seme e aspettare, il suolo deve essere preparato affinché contenga abbastanza sostanze nutritive per far crescere una pianta: per questo inizialmente si cerca di rendere fertile il terreno piantando orzo delle sabbie, un tipo di erba particolarmente adatto alle zone aride. Poi si passa alla famiglia dei lupini, questi. Infine arrivano gli alberi.

Quando i vichinghi colonizzarono l’isola nel nono secolo, lungo le coste islandesi c’erano boschi di betulle che furono abbattuti per ottenere materiale da costruzione e legna da ardere. Gli alberi che si piantano oggi però non sono solo betulle: ci sono, tra gli altri, i pecci di Sitka, i larici siberiani e i Pinus contorta, tutte conifere che vengono importate dall’Alaska. Jon Asgeir Jonsson, un volontario dell’Associazione islandese per il rimboschimento, ha spiegato al New York Times che sarebbe bello piantare anche dei pioppi tremuli, che invece d’inverno perdono le foglie, ma che non si può farlo perché i loro germogli piacciono molto alle pecore, che in Islanda sono molto diffuse. I nuovi alberi vengono piantati dopo essere stati cresciuti per un po’ nelle serre perché la legge islandese proibisce di importare alberi vivi, per evitare l’introduzione involontaria di altre specie animali o vegetali insieme a loro.

Nel 30 per cento dei casi vengono piantate le betulle perché sono più adatte al suolo povero e anche se crescono lentamente creano un riparo per gli altri alberi che vengono piantati vicino. Le altre specie di alberi hanno il vantaggio di crescere più in fretta e quindi trattengono più anidride carbonica. In Islanda gli alberi ci mettono più tempo a crescere in generale rispetto ad altri paesi, per il suolo ma anche perché per molti mesi all’anno l’isola resta al buio. Gli alberi di una foresta piantata negli anni Quaranta vicino a Ísafjörður, nel nord-ovest del paese, sono alti oggi solo 15 metri: nel sud-est dell’Alaska, nello stesso arco di tempo, avrebbero potuto raggiungere il triplo di altezza.

Anche secondo gli islandesi più ottimisti, non sarà mai possibile che l’Islanda sia di nuovo coperta per un quarto di foreste com’era prima dell’arrivo dei vichinghi. L’obiettivo dei volontari sarebbe riempire di alberi il 5 per cento della superficie dell’isola nei prossimi 50 anni, ma secondo Saemundur Thorvaldsson, un funzionario governativo che si occupa del rimboschimento, al ritmo attuale potrebbero volerci 150 anni.