Perché Disney ha rinunciato a Twitter

Perché temeva che i moltissimi contenuti offensivi che quotidianamente compaiono sul social network avrebbero danneggiato la sua immagine, scrive Bloomberg

di Alex Sherman , Chris Palmeri e Sarah Frier – Bloomberg

(EMMANUEL DUNAND/AFP/Getty Images)
(EMMANUEL DUNAND/AFP/Getty Images)

Disney ha deciso che non farà un’offerta per comprare Twitter, in parte perché è preoccupata che il bullismo e le altre forme di comunicazione incivili diffuse sul social network possano intaccare l’immagine sana e familiare della società, stando a quanto dicono alcune persone informate sui fatti. Disney, che nonostante si occupi di moltissime cose è ancora molto associata ai suoi film d’animazione per famiglie, era arrivata a incaricare due banche d’investimento, JPMorgan Chase & Co. e Guggenheim Partners LLC, perché la aiutassero a valutare un’offerta per Twitter. La dirigenza di Disney aveva anche seguito una presentazione sulla società dei dirigenti di Twitter, stando alle fonti di Bloomberg, che hanno chiesto di rimanere anonime. Ci sono state, però, anche altre ragioni che hanno spinto Disney a rinunciare a Twitter. Il social network è in perdita, nonostante abbia un valore di mercato di quasi 12 miliardi di dollari. L’acquisizione sarebbe stata un grosso investimento anche per Disney, che ha un valore di mercato dodici volte superiore. Per queste ragioni, dicono persone vicine alla società, nelle scorse settimane alcuni dei maggiori investitori di Disney hanno espresso disapprovazione nei confronti dell’eventuale acquisto di Twitter. In precedenza anche Salesforce – una società americana che si occupa di servizi di cloud per le aziende – e Google avevano rinunciato a fare un’offerta per Twitter.

L’acquisto di Twitter avrebbe potuto essere un altro passo importante nella carriera del CEO di Disney Bob Iger, che ha 65 anni e può già vantare il successo ottenuto con altre grandi acquisizioni fatte durante il suo incarico, come quelle di Pixar, Marvel e Lucasfilm. Questo mese, durante un incontro pubblico al Boston College, Iger aveva parlato di quanto fosse importante per i marchi Disney stabilire un contatto diretto con i clienti attraverso i dispositivi mobili. Tre anni fa Iger aveva fatto entrare il cofondatore e CEO di Twitter Jack Dorsey nel consiglio di amministrazione di Disney. Dorsey ha detto di rispettare Iger e di considerarlo un mentore, e all’inizio dell’anno scorso Iger era stato invitato a parlare di leadership ai dirigenti di Twitter. Dorsey si è opposto alla vendita di Twitter, nella speranza di ottenere più tempo per dimostrare che la nuova strategia che punta sullo streaming di video in diretta possa contribuire all’aumento del numero degli utenti del social network. Il consiglio di amministrazione di Twitter aveva deciso di chiedere aiuto a delle banche per valutare la possibilità di una vendita della società, dopo essere venuti a conoscenza dell’interesse di un potenziale compratore che però poi si è fatto indietro.

Da anni Twitter viene criticata per il suo approccio passivo nei confronti degli abusi e delle molestie sul social network. Dato che gli utenti non sono costretti a usare il loro vero nome, su Twitter prosperano commenti razzisti, sessisti e antisemiti. L’anno scorso la società aveva promesso di prendere maggiormente sul serio la questione, lavorando a diverse soluzioni, come una funzione che avrebbe permesso agli utenti di filtrare determinati termini. Ciononostante, quest’anno gli attacchi subìti su Twitter hanno spinto alcuni utenti famosi – come l’attrice del reboot di Ghostbusters Leslie Jones e un giornalista del New York Times – ad abbandonare temporaneamente il social network. Twitter ha iniziato solo di recente a studiare delle soluzioni tecnologiche per risolvere il suo problema con le molestie online. Il disagio di Disney per gli abusi sul social network dimostra che per le prospettive aziendali di Twitter è un problema più grosso di quanto pensassero i dirigenti della società. Nelle prime contrattazioni di martedì le azioni di Twitter sono salite meno dell’un per cento, attestandosi a 16,87 dollari ciascuna.

© 2016 – Bloomberg