Perché anche Nagasaki?

Il 9 agosto 1945, tre giorni dopo la bomba atomica su Hiroshima, gli americani colpirono anche Nagasaki e fu un attacco che in un certo senso non autorizzò nessuno

(AP Photo)
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Il 9 agosto del 1945, tre giorni dopo il bombardamento atomico su Hiroshima, una seconda bomba atomica venne sganciata sulla città giapponese di Nagasaki uccidendo più di 60 mila persone. La bomba, soprannominata “Fat Man”, era destinata a colpire Kokura, uno dei principali arsenali navali del Giappone, ma le cattive condizioni meteorologiche fecero cambiare il bersaglio all’ultimo minuto. È un mistero storico il perché gli americani non diedero tempo ai giapponesi di comprendere la scala della distruzione che aveva colpito Hiroshima e quindi arrendersi e dichiararsi sconfitti nella Seconda guerra mondiale: dal primo al secondo bombardamento atomico passarono appena 72 ore. Una risposta che è stata data a questa domanda è che in un certo senso non fu nessuno a decidere di distruggere Nagasaki.

L’utilizzo delle armi nucleari venne autorizzato il 25 luglio 1945, due settimane prima della distruzione di Nagasaki. In Europa la guerra era terminata da due mesi, ma dall’altra parte del mondo il Giappone, nonostante la sua situazione disperata, rifiutava ancora di arrendersi. In tutto il paese non c’era più carburante per muovere aerei e navi e non c’era carbone per tenere aperte le fabbriche e le centrali elettriche. L’unica cosa che restava al paese erano milioni di soldati male armati, ma apparentemente disposti a morire piuttosto che arrendersi. I generali americani avevano preparato un piano per costringere il paese alla resa che speravano di non essere mai costretti ad utilizzare: l’invasione del Giappone. Era un’operazione dall’esito scontato, ma che sarebbe costata gli americani decine di migliaia di morti. La bomba atomica era considerata il metodo più rapido per portare il Giappone alla resa, risparmiando vite americane e giapponesi.

La prima bomba fu completata a luglio e il 25 dello stesso mese la notizia venne comunicata all’allora presidente degli Stati Uniti Harry Truman. Curiosamente, né Truman né i principali membri della sua amministrazione sembrarono rendersi conto della portata storica del momento che avevano di fronte. Truman si trovava a Potsdam, vicino a Berlino, dove insieme a Josiph Stalin e Winston Churchill stava discutendo la sistemazione della Germania dopo la fine della guerra in Europa. A voce gli venne comunicato che le bombe erano pronte e Truman, sempre a voce, diede il suo assenso al loro utilizzo. Quello che scrisse nel suo diario quel giorno lascia l’impressione di un uomo che non aveva una chiara idea di quello che stava facendo:

«L’arma sarà usata contro il Giappone tra oggi e il dieci di agosto. Ho detto al segretario alla Guerra, Stimson, di usarla su un obiettivo militare, in maniera che il bersaglio siano soldati e marinai e non donne e bambini. Anche se i giapponesi sono selvaggi fanatici, senza scrupoli e senza pietà, noi in quanto leader del mondo libero non possiamo lanciare questa terribile bomba sulla vecchia capitale [Kyoto] o su quella nuova [Tokyo]. Io e Stimson siamo d’accordo. Il bersaglio sarà puramente militare.»

All’epoca la lista dei bersagli era formata da grandi città giapponesi tutte popolate da centinaia di migliaia di civili, soprattutto donne, bambini e anziani. Truman probabilmente non vide mai l’ordine scritto che autorizzava l’attacco, che fu firmato dal segretario di Stato e da quello alla Guerra. Nell’ordine si specificava che la prima bomba avrebbe dovuto essere sganciata su Hiroshima il 3 agosto, o il primo giorno con una situazione meteorologica utile (alla fine il giorno scelto sarebbe stato il 6 agosto). Al punto numero due del documento ufficiale che ne ordinava l’impiego era scritto: «Ulteriori bombe saranno sganciate non appena saranno pronte». Il Progetto Manhattan, l’enorme impresa che aveva portato alla costruzione delle bombe, godeva oramai di vita propria. L’ordine per il lancio delle bombe era stato scritto di persona dal generale Leslie Richard Groves, il comandante del progetto. Con il distratto assenso di Truman, gli uomini del progetto avevano ricevuto il permesso di utilizzare la prima bomba e tutte le altre bombe che fossero state preparate senza bisogno di attendere nuovi ordini. Tutta la questione delle armi nucleari era finita in mano ai militari che avrebbero potuto gestirla come desideravano.

Hiroshima fu bombardata il 6 agosto, ma con grande sorpresa degli americani i giapponesi non si arresero immediatamente. La sorpresa era in un certo senso legittima: la distruzione di Hiroshima era stata di tale portata che qualsiasi governo ragionevole non avrebbe atteso che poche ore prima di annunciare la sua disponibilità a discutere i termini della resa. Il Giappone però non era un paese che si poteva considerare in quel momento normale. Le sue infrastrutture erano state così danneggiate dai bombardamenti convenzionali che le notizie circolavano molto lentamente. Dopo la guerra, il comandante in capo dell’esercito degli Stati Uniti George Marshall scrisse che probabilmente la distruzione di Hiroshima era stata «troppo grande». Per un giorno intero nel resto del Giappone non arrivarono notizie dalla città e anche quando arrivarono ci volle un po’ di tempo per capire che Hiroshima non era stata colpita dalle solite bombe incendiarie. Il Giappone era da mesi sottoposto a devastanti bombardamenti aerei che avevano già ucciso più di trecentomila persone e inizialmente a Hiroshima non sembrava fosse accaduto nulla di diverso.

Anche quando quello che era successo cominciò a diventare chiaro, il governo giapponese si divise su cosa fare. C’era un partito della pace, che vedeva nella bomba un’ottima scusa per arrendersi senza perdere l’onore, ma il grosso del governo e degli ufficiali dell’esercito era letteralmente disposto a morire insieme al resto del paese piuttosto che arrendersi. Parlare di pace e di resa era pericoloso e in passato era già accaduto più volte che giovani ufficiali fanatici avessero assassinato ministri e generali ritenuti troppo moderati e poco patriottici. Settantadue ore erano un lasso di tempo decisamente insufficiente per superare queste resistenze e convincere anche i più determinati che era arrivato il momento di firmare la pace. Nel frattempo, mentre il governo giapponese si perdeva in discussioni, gli avieri americani sull’isola di Tinian stavano preparando la seconda missione atomica. Né il presidente né i suoi segretari furono interpellati mentre in completa autonomia gli uomini del 509° squadrone studiavano il tempo sul Giappone per decidere il giorno migliore in cui sganciare “Fat Man”. Alla fine, viste le condizioni meteorologiche, venne deciso di anticipare il lancio al 9 agosto. Nessun ufficiale di grado superiore a quello di colonnello prese parte alla decisione.

Il primo bersaglio della lista, Kokura, si rivelò irraggiungibile a causa del maltempo. A corto di carburante i piloti diressero i loro aerei sull’ultimo e meno appetibile bersaglio della lista. Nagasaki era già stata colpita dai bombardamenti incendiari ed era costruita su una serie di colline che avrebbero limitato l’efficacia della bomba. Circa 60 mila persone furono uccise all’istante nell’esplosione e molte altre migliaia sarebbero morte nei mesi e negli anni successivi. Il giorno successivo, il 10 agosto, il governo giapponese fece sapere tramite il console svizzero che si trovava a Tokyo che era pronto a discutere la resa. Appena venne a sapere del secondo lancio e prima che il Giappone si arrendesse, Truman si rese conto che alcuni ufficiali di basso rango in una remota isola del Pacifico stavano prendendo da soli decisioni che avrebbero cambiato la storia. Con ventiquattro ore di ritardo fece arrivare un nuovo ordine all’aviazione: da ora in avanti nessuna bomba avrebbe più dovuto essere sganciata senza il suo esplicito consenso.