Perché Renzi si è buttato sulle tasse

Dario Di Vico spiega sul Corriere tre ragioni delle riduzioni annunciate (oltre alla solita, "occupare il centro")

Sabato scorso il Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi ha annunciato una serie di riduzioni fiscali tra il 2016 e il 2018, che hanno ovviamente attratto l’interesse degli italiani e degli osservatori della politica: per molti commentatori hanno a che fare con una ricerca di consenso in un momento in cui il protagonismo del capo del governo sembrava essere temporaneamente affievolito. Ma martedì sul Corriere della Sera Dario Di Vico fa un’analisi più approfondita di motivazioni e obiettivi delle iniziative sulle tasse.

Da più parti sono stati avanzati dubbi e rilievi sulla reale capacità di Matteo Renzi di implementare la strategia anti-tasse annunciata sabato scorso. Anche il Corriere ne ha scritto con Daniele Manca e sicuramente il dibattito di policy avrà tempo
e modo di dispiegarsi. Commetteremmo però un peccato di omissione se non aprissimo una riflessione parallela sugli slittamenti di cultura politica, perché pur senza scomodare il povero Copernico la mossa di Renzi segna una forte discontinuità. Le socialdemocrazie europee hanno un bisogno estremo di sparigliare, vista l’acclarata incapacità di elaborare una piattaforma politica per il dopo austerity e la totale irrilevanza fatta registrare nella recente crisi dei rapporti con la Grecia. Senza il Welfare state espansivo e senza l’economia mista le sinistre del Continente, come ha messo in evidenza in un suo libro Giuseppe Berta, sono pesci fuor d’acqua.

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