La riforma del Senato e l’immunità

La commissione Affari costituzionali – PD compreso – ha votato per mantenere le norme attuali sull'immunità anche nel nuovo Senato

Martedì 1 luglio la commissione Affari costituzionali del Senato ha votato a larga maggioranza a favore del mantenimento dell’immunità parlamentare per i nuovi senatori, che non saranno più eletti direttamente dai cittadini secondo la bozza di riforma del Senato promossa dal governo Renzi. Questo punto era stato molto discusso nelle ultime settimane e aveva portato a diversi pareri discordanti tra i partiti che stanno collaborando a scrivere la riforma, che dovrà essere poi discussa nelle aule del Senato e della Camera.

Riforma del Senato
In questi giorni i senatori della commissione Affari costituzionali stanno esaminando la bozza per la riforma del Senato, aggiungendo correzioni ed emendamenti al testo di legge base che prevede una profonda modifica del cosiddetto bicameralismo perfetto, l’attuale assetto istituzionale in cui Camera e Senato fanno sostanzialmente le stesse cose. La proposta è che il Senato sia composto da 100 senatori e non più da 320 come avviene adesso e che la carica di senatore non sia elettiva, ma attribuita a 95 persone già elette per incarichi amministrativi locali e a 5 persone nominate dal presidente della Repubblica (come avviene oggi per i senatori a vita). 74 senatori dovrebbero essere indicati tra i membri dei consigli regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano, con la condizione che ogni regione ne elegga un numero proporzionale alla sua popolazione ed entro un massimo di tre. Gli altri 21 senatori dovrebbero essere indicati dai consigli regionali: l’idea è che ogni consiglio ne indichi uno.

Immunità
Quando si è iniziato a discutere di un Senato non elettivo, in molti hanno sostenuto che non fosse necessario assicurare ai senatori le stesse garanzie date dall’immunità di cui godono tutti i parlamentari. Il principio secondo il quale un membro del Parlamento non può essere sottoposto a particolari trattamenti giudiziari è previsto dall’articolo 68 della Costituzione e, almeno in origine, era stato formulato per garantire una efficace separazione dei poteri tra organo legislativo (il Parlamento) e organo giudiziario (la magistratura):

«I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza»

L’attuale versione dell’articolo 68 è frutto di diverse modifiche effettuate a partire dai primi anni Novanta, dopo le inchieste giudiziarie sulla corruzione nei partiti della cosiddetta Prima repubblica. Nel 1993 fu rimossa la parte dell’articolo che prevedeva l’autorizzazione a procedere, e che impediva l’avvio di indagini sui parlamentari in assenza di una esplicita autorizzazione da parte della camera cui apparteneva la persona interessata. Nel 2003 furono effettuati altri aggiustamenti, mantenendo comunque sempre il principio della tutela dell’insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati dai parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni, fondamentale per garantire l’autonomia di deputati e senatori.

Dibattito
Negli ultimi giorni si è discusso molto tra i partiti sull’opportunità o meno di mantenere l’immunità anche per i senatori che non saranno più eletti, considerato che rivestono già altre cariche pubbliche nelle amministrazioni locali. Soprattutto Forza Italia e Lega Nord hanno fatto pressioni per mantenere il principio dell’immunità, spiegando che negandolo ai nuovi senatori si sarebbe creata una distinzione di trattamento inaccettabile rispetto ai deputati, che l’avrebbero mantenuta. Secondo la riforma, i senatori faranno per la maggior parte del tempo cose diverse rispetto ai deputati, ma in alcuni casi e per particolari votazioni avranno funzioni simili, da qui la necessità di mantenere una certa uniformità tra le due camere.

Votazione
Le argomentazioni di Forza Italia e Lega Nord hanno convinto i senatori del PD che fanno parte della commissione, interessati inoltre ad andare avanti nella revisione della bozza sulla riforma, in modo da presentarla il prima possibile in aula al Senato (la Costituzione per questo tipo di leggi prevede due revisioni per camera, con un processo piuttosto lungo). A favore dell’immunità alla fine hanno votato PD, Forza Italia (con l’astensione di Augusto Minzolini), Lega Nord, Nuovo Centro Destra, Scelta Civica, Autonomie, Per l’Italia e GAL. Hanno votato contro il Movimento 5 Stelle, Sinistra Ecologia e Libertà e Francesco Campanella, uscito dal gruppo del M5S.

Che succede adesso
Il voto in commissione non implica necessariamente che l’immunità per i nuovi senatori sarà presente nella legge definitiva, perché la riforma a partire dalla prossima settimana dovrà essere discussa dall’aula del Senato e ci potranno essere proposte per modificarla ulteriormente. Nella loro lettera sulla legge elettorale e le riforme inviata martedì al M5S, i dirigenti del PD dicono di essere disposti a discutere anche “delle guarentigie costituzionali per i membri di Camera e Senato, individuando una risposta al tema immunità che non diventi occasione di impunità”. L’impressione è che però l’interlocutore principale per il PD continuerà a essere Forza Italia, per fare avanzare la riforma in Parlamento e compensare la possibile scelta di alcuni senatori del PD di non votare a favore. Il senatore del PD Vannino Chiti, per esempio, ha già annunciato che proporrà alcuni emendamenti per lasciare la sola insindacabilità ai membri del nuovo Senato, ma difficilmente avrà i numeri per farli approvare.