Che cos’è la Tobin Tax?

L'ha inventata quest'uomo, che ha vinto il premio Nobel, e potrebbe essere la soluzione a molti problemi: una guida per capire di cosa si sta parlando

di Emanuele Menietti

Al termine del loro incontro di martedì scorso a Parigi, il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy hanno presentato il loro piano per affrontare gli effetti della crisi economica, offrendo maggiore stabilità agli Stati che adottano l’euro e a quei paesi europei che sono più a rischio a causa del loro forte indebitamento. Come era prevedibile, i due leader non hanno annunciato grandi novità da proporre ai loro partner europei, ma in compenso hanno detto di voler presentare entro fine settembre una proposta comune per tassare le transazioni finanziarie. Merkel e Sarkozy non hanno dato ulteriori dettagli su questa idea, accolta molto freddamente dai mercati, ed esperti e analisti si stanno interrogando sulla sua utilità tirando fuori il tema ricorrente della Tobin Tax.

Cambio
Per capire che cos’è la Tobin Tax dobbiamo fare qualche passo indietro e partire dal concetto di tasso di cambio, cui siamo un po’ meno abituati da quando usiamo l’euro. Ogni nazione o gruppo di nazioni emette valuta (i soldi) o decide di adottarne una di un altro paese. Le valute sono diverse tra loro quindi, per esempio, al tasso di cambio attuale una sterlina inglese vale 1,65 dollari. Il tasso di cambio può essere visto come il valore della valuta di un paese in rapporto al valore di quella di un altro Stato. I tassi di cambio oggi sono sostanzialmente determinati dal foreign exchange market (Forex), il più grosso mercato del mondo per valore delle transazioni che comprende principalmente gli scambi tra grandi istituzioni bancarie e mercati finanziari.

Bretton Woods
Il Forex per come lo conosciamo oggi esiste da una quarantina di anni, in pratica da quando si è sgretolato il sistema stabilito con l’accordo di Bretton Woods. Nel mese di luglio del 1944, mentre erano in corso le battute finali della Seconda guerra mondiale, oltre settecento delegati di 44 nazioni alleate si ritrovarono nel New Hampshire, a Bretton Woods, per discutere la ricostruzione del sistema monetario e finanziario internazionale. Dopo una ventina di giorni di incontri e trattative, fu firmato un accordo che impegnava ogni nazione ad adottare una politica monetaria stabile, rendendo il tasso di cambio della propria valuta fisso rispetto al valore del dollaro (con un margine percentuale di tolleranza) e di tenere a bada gli squilibri dovuti ai pagamenti internazionali (causati dai diversi tassi di cambio) attraverso il Fondo Monetario Internazionale.

Il sistema, adottato negli anni seguenti da numerosi altri paesi, si rivelò una valida soluzione per tenere a bada le speculazioni e i conflitti economici per una ventina di anni. Ma l’aumento vertiginoso della spesa pubblica negli Stati Uniti, dovuto tra le altre cose ai costi della guerra in Vietnam, cambiò gli equilibri. L’emissione dei dollari e l’indebitamento aumentarono, portando a maggiori richieste di conversione delle riserve in oro (la base monetaria era data da una quantità fissata di oro, sistema aureo). La situazione si era fatta insostenibile e il presidente di allora, Richard Nixon, decise nel 1971 di sospendere la convertibilità del dollaro in oro, sancendo di fatto la fine di Bretton Woods, che basava i tassi di cambio sul dollaro. Dal sistema aureo si passò così al denaro a corso legale (il valore del denaro non è coperto dalle riserve di altri materiali, come l’oro, ma ha un valore grazie al fatto che esiste un’autorità che agisce come se ne avesse e che viene riconosciuto dagli altri come mezzo di scambio) e all’attuale sistema di cambi flessibili alla base del Forex.

Tobin Tax
Il mondo dopo Bretton Woods ebbe una rapida evoluzione e portò a diverse storture sul mercato, favorendo le speculazioni a brevissimo termine di chi sfruttava le continue variazioni dei cambi per arricchirsi con le transazioni tra diversi Stati. L’economista americano James Tobin arrivò alla conclusione che fosse necessario un meccanismo per disincentivare queste operazioni, che a suo modo di vedere non portavano a particolari benefici per il sistema economico, e dare maggiore equilibrio ai mercati: tassa da applicare a tutte le conversioni di valuta effettuate a breve termine, con il solo scopo di fare soldi sfruttando il sistema dei tassi di cambio.

Tobin presentò la sua idea nel 1972 nel corso di una conferenza all’Università di Princeton e nel 1981 ottenne il Premio Nobel per l’Economia. Per decenni l’economista ha provato a convincere governanti e istituzioni della bontà della propria proposta, ma dopo infinite discussioni non si è mai arrivati a una concretizzazione su scala globale del suo progetto.

Come funziona
Durante una conferenza nel 1995 Tobin diede una chiara spiegazione sui vantaggi della sua tassa, in un periodo storico in cui l’Unione Europea iniziava a fare sul serio per arrivare a una moneta unica che attenuasse il problema dei tassi di cambio.

La Tobin Tax è progettata per penalizzare le transazioni di breve periodo. Ci sono più di mille miliardi di dollari di transazioni ogni giorno nel foreign exchange market nel mondo [oggi siamo intorno ai 1.900 miliardi di dollari, ndr]. La maggior parte di questi sono dati dall’inizio di brevi giri di denaro che durano solamente una settimana o meno. Sono sostanzialmente viaggi di andata e ritorno tra una valuta e un’altra.

La tassa sulle transazioni al cambio che propongo è fissa per qualsiasi ammontare di ogni transazione. Quindi discrimina automaticamente, nel modo migliore possibile, tra i viaggi di andata e ritorno di breve e di lungo termine. Ipotizziamo che la tassa sia pari allo 0,5 per cento per ogni transazione, mezzo punto percentuale del suo valore totale. Se sposti denaro da Toronto (Canada) a New York (Stati Uniti) per approfittare di una differenza nel tasso di cambio e risposti la cifra nella stessa settimana, il tuo viaggio ti costa un 1 per cento (0,5 per andare, 0,5 per tornare). Se il vantaggio nel breve periodo è di pochi punti sulla base dei tassi di interesse annui, la tassa cancella il guadagno.

Specularmente, dice Tobin, se vuoi fare una transazione in un’altra valuta per un progetto a lungo termine gli effetti della tassa saranno marginali. Avrai infatti pagato lo 0,5 per cento all’andata, ma l’altro 0,5 per cento lo pagherai solamente nel momento in cui deciderai di riportare indietro il denaro magari a decenni di distanza quando l’investimento sarà cresciuto e avrai raccolto gli interessi. Un simile sistema potrebbe quindi incentivare gli investimenti per “fare cose” disincentivando almeno in parte le rapide incursioni sul mercato di chi specula.

L’altro vantaggio sarebbe, naturalmente, la possibilità per gli Stati di ottenere un nuovo sistema per fare cassa senza gravare con nuove imposizioni fiscali direttamente su tutti i contribuenti. Alcuni economisti ritengono che applicando una Tobin Tax dello 0,1 per cento si potrebbero ottenere annualmente 166 miliardi di dollari. Tobin aveva immaginato un sistema in cui gli Stati con economie più solide, che attirano mediamente più scambi sul mercato, cedessero parte dei proventi della sua tassa a un’istituzione internazionale come l’FMI, che si sarebbe poi fatta carico di ridistribuire le somme per equilibrare il sistema, sul modello di quanto avveniva nel periodo regolato dagli accordi di Bretton Woods.

Tassazione delle transazioni finanziarie (TTF)
Da quando Tobin fece la sua proposta, le cose sono naturalmente cambiate: gli scambi sui mercati sono diventati frenetici, paesi con economie un tempo marginali si stanno affermando con le loro valute e in Europa diciassette paesi si muovono insieme, almeno sul fronte monetario, con l’euro. Partendo dalla proposta di Tobin, che a sua volta si era già rifatto ad alcune idee dell’economista John Maynard Keynes negli anni Trenta, numerosi economisti hanno elaborato nuove teorie per applicare una tassa a tutte le transazioni finanziarie sui mercati e di questo hanno parlato Sarkozy e Merkel martedì scorso, quindi di qualcosa in parte diverso dalla Tobin Tax.

Differenze
La Tobin Tax si concentra sugli scambi di valuta, mentre la tassazione delle transazioni finanziarie si applica a chi opera sui mercati finanziari. Rimarrebbero quindi esclusi pagamenti per beni, servizi e prestazioni lavorative all’estero. L’idea della TTF è principalmente un pallino di Nicolas Sarkozy, che l’ha tirata fuori qualche mese fa nel corso del G20 di Parigi raccogliendo pareri discordanti dai vari paesi che vi partecipano.

In Germania gli investitori sono scettici su un simile provvedimento, ma Angela Merkel sembra essere sempre più convinta che possa essere una buona idea per portare nelle casse dei paesi dell’euro qualche soldo in più per ridurre il loro indebitamento. Questa soluzione consentirebbe al Cancelliere di spostare il confronto con gli altri paesi europei dalla proposta sulle obbligazioni europee, che comporterebbe l’aumento dei tassi di interesse per i paesi con una migliore economia come il suo. Inoltre, il Parlamento Europeo ha già votato una risoluzione lo scorso 8 marzo che chiede l’introduzione della TTF a livello globale o almeno in Europa, provvedimento che porterebbe nelle casse dell’Unione Europea circa 200 miliardi di euro ogni anno, riducendo le speculazioni.

Reazioni
Come era prevedibile i mercati non hanno accolto positivamente la proposta tassazione delle transazioni finanziarie. Secondo i detrattori, un simile provvedimento potrebbe danneggiare la ripresa economica nei prossimi anni dopo la crisi, inducendo gli investitori a ridurre la quantità delle loro operazioni finanziarie. Il sistema potrebbe poi favorire alcuni Stati a sfavore di altri, dicono i critici, rendendo difficili le politiche di compensazione e riequilibrio.

Si farà?
Della Tobin Tax / TTF si parla letteralmente da decenni, ma dalla fine di Bretton Woods a oggi – istituzione dell’euro a parte – non ci sono stati grandi accordi su scala globale per ridurre le speculazioni e tenere a bada i mercati. Secondo i più pessimisti, i governi si sono lasciati sfuggire di mano il mercato e ora non riescono più a stargli dietro, anche a causa dei singoli opportunismi che riducono le possibilità di trovare accordi a livello internazionale.

È difficile quindi prevedere un esito positivo per la TTF nei prossimi mesi, anche se Francia e Germania vogliono riaprire il confronto sia in Europa che in ambito internazionale al G20. Per farsi un’idea della difficoltà nel mettere tutti d’accordo su un simile provvedimento basta pensare alla realtà “unitaria” dell’Europa. La proposta del marzo scorso è osteggiata dalla Gran Bretagna, il principale mercato finanziario europeo, che si è detta disposta ad adottare la TTF solo a patto che sia applicata su scala internazionale e non solo in Europa. Senza una regola uguale per tutti, la Gran Bretagna si opporrà al provvedimento facendolo probabilmente arenare.