Cose belle ascoltate nel 2017

La differenza principale tra le uscite musicali del 2016 e del 2017 è che sono arrivati meno dischi nuovi dei pesi massimi, che l’anno scorso erano stati rappresentati da Kanye West, Rihanna, Beyoncé, David Bowie, Radiohead e Coldplay. Sono usciti 4:44 di Jay-Z, Damn. di Kendrick Lamar More Life di Drake, di cui si è parlato tanto e giustamente, perché almeno gli ultimi due sono album formidabili. Il pop è stato dominato soprattutto da Melodrama di Lorde, Starboy di the Weeknd, Reputation di Taylor Swift e ÷ di Ed Sheeran, tutti più deboli e deludenti di quanto ci si aspettasse.

L’impressione è che, al di là degli album dei veterani delle major, nel 2017 siano uscite troppe cose da ascoltare. La grande facilità di diffondere musica per gli artisti non è di certo una cosa nuova, ma è un fenomeno che si acutizza di anno in anno, e che unito alla progressiva scomparsa delle stroncature fa sì che ci sia sempre più musica descritta come imprescindibile e dalla quale però a guardar bene si potrebbe prescindere senza conseguenze. Aiuterebbe un po’ più di misura nei giudizi, e forse pure qualche recensione di meno.

Don’t believe the hype” rimane sempre un buon consiglio, che personalmente faccio spesso fatica ad applicare. Ma provando a usare quella misura di cui si parlava, questi sono 23 dischi di quest’anno che mi sono piaciuti: in certi casi se ne è parlato molto, per chi segue anche solo distrattamente le nuove uscite, in altri casi poco anche per chi ha una filter bubble costruita con cura per non perdersi niente. Qui c’è una playlist su Spotify con una canzone per ciascuno. Sotto nei commenti chi vuole può consigliarci i suoi.

No Shape, Perfume Genius
Perfume Genius è così bravo e dirompente e sensuale che si fa perdonare qualsiasi cosa: gli smarmellamenti, i lamentini, i barocchismi, le paraculate, i clavicembali. Ha deciso che un sacco di cose che ci eravamo faticosamente scrollati di dosso sono cadute in prescrizione e ora sono di nuovo ok: va benissimo, finché le fa così. Premio muri di suono 2017.

Ctrl, SZA
La cosa che avrei voluto leggere in una di quelle recensioni serie e bizantine è che Ctrl è una lunga seduta terapeutica in cui al primo ascolto si è al posto dello psicologo, e dal secondo si è sdraiati sul lettino. Non l’ho letto, e non possiamo certamente scriverlo qui. Quest’anno non abbiamo avuto musica di Rihanna e Beyoncé, e SZA ha riempito questo vuoto di potere facendo il disco dell’anno, secondo me. Ha preso alcuni dei suoni più belli che abbiamo tirato fuori negli ultimi anni e ci ha messo sopra quella sua voce incredibile, che sembra sempre che la stia scaldando con finta modestia, e che se si mettesse a fare sul serio farebbe esplodere i bicchieri. Premio autofiction 2017.

EP2, Yaeji
Yaeji ha 24 anni, ha origini sudcoreane ma vive a Brooklyn, ed è forse la più bella sorpresa dell’anno nella musica elettronica. BBC l’ha pure candidata al premio Sound of 2018. Ha fatto uscire due EP, che si chiamano EP EP2. È cresciuta ad Atlanta, ma a un certo punto i suoi genitori si sono convinti che si stesse americanizzando troppo, e l’hanno riportata in Corea del Sud. Lei poi è tornata negli Stati Uniti, ma dice di essere contenta di come sono andate le cose. Ora sussurra un po’ in inglese e un po’ in coreano su basi che sembrano arrivare da mani molto più navigate delle sue. Nel suo ultimo EP ha messo anche una cover di “Passionfruit” di Drake. Premio cameretta 2017.

Rockets, (Sandy) Alex G
(Sandy) Alex G è un polistrumentista di Philadelphia che a 24 anni ha già fatto sei dischi, mettendone uno (DSU, del 2014) in cima a un sacco di classifiche di fine anno dei siti di musica. Ha questa cosa che ti mette in mezzo a ballatone folk delle invenzioni strane di struttura e armonia musicale che ti spiazzano e ti fanno vacillare tutto. O al contrario infila melodie incantevoli in mezzo a canzoni rumorosissime e incasinate. È un ascolto che richiede una certa partecipazione, ma la ripaga. Premio mossa Kansas City 2017.

Culture, Migos
È difficile dire in poche righe cos’è Culture e perché è uno dei dischi più importanti dell’anno. In un certo senso metterlo in queste liste, checché se ne dica, è una specie di premio alla carriera, più che al disco in sé, che è un discreto casino e a tratti pure insopportabile (tipo la prima canzone, con DJ Khaled che fa il suo proverbiale urlo D-J-Khaleeed). Ma è il disco con il quale i Migos hanno istituzionalizzato l’enorme influenza sulla cultura popolare che hanno da almeno quattro anni, cioè da “Versace”: tra le altre cose hanno inventato la dab (o perlomeno l’hanno resa famosa), ma soprattutto sono stati tra quelli che hanno perfezionato meglio quel canone estetico che reinterpreta l’hip hop in chiave post-ironica, che è stato fondamentale per l’evoluzione recente del genere e che ha aperto la strada a gente come Lil Yachty. Culture è importantissimo e ha alcune canzoni scarse, altre eccezionali e altre soltanto molto divertenti. Ha anche quella che potrebbe essere la canzone dell’anno, “Bad and Boujee” (se la gioca secondo me con “XO Tour Llif3” di Lil Uzi Vert e “Mask Off” di Future). Premio entropia 2017.

Azulejos, Populous
Populous è il produttore pugliese Andrea Mangia, uno dei nomi dell’elettronica italiana più riconosciuti all’estero. Ha fatto un disco composto tutto a Lisbona, nato come esperimento di cumbia elettronica, cioè una versione contemporanea della danza diffusa nel Centro e Sud America. Ne è venuta fuori una cosa bella che tiene dentro quei ritmi caraibici e latini insieme a una gran precisione e pulizia melodica più europea. Premio Oceano Atlantico 2017.

Love What Survives, Mount Kimbie
È il terzo disco del duo inglese dei Mount Kimbie, e porta a termine la loro transizione dall’elettronica più anni Duemila degli inizi al suono molto strumentale e punk e stratificato che a tratti avevano già fatto sentire con Cold Spring Fault Less Youth, del 2013. E qui siamo grandi fan di questa transizione. Love What Survives è un disco così eterogeneo che sembra una playlist di artisti diversi (anche perché è pieno di collaborazioni), ma ad ascoltarlo più volte si arriva a capire il grande disegno: o forse ce la si racconta, ma è comunque una bella sensazione. Premio epifanie 2017.

What Now, Sylvan Esso
Loro sono un duo elettropop della North Carolina, che da un po’ di tempo butta giù i muri: le loro canzoni tirano i lembi del synth pop per coprire generi diversi, e sono così bravi che la loro coperta non è mai troppo corta. Premio ballare da soli nascondendo le lacrime 2017.

Aromanticism, Moses Sumney
Moses Sumney ha fatto un bellissimo concerto al festival Linecheck di Milano a fine novembre, nel suo primo tour europeo. Aromanticism è il suo primo disco, ed è tutto costruito intorno ad arpeggi sospesi di chitarra, e a infiniti volteggi vocali costantemente in falsetto. Ma la cosa spaziale è che ogni canzone ti lascia in un posto diverso, e per qualche motivo che non mi è ancora chiaro i suoi gorgheggi non stancano mai. Premio theremin 2017.

Io in Terra, Rkomi
Probabilmente il miglior disco rap italiano dell’anno insieme a Album di Ghali, di cui si è parlato giustamente molto di più. Rkomi ha il vantaggio di non dover convincere i diffidenti, perché fa un rap vecchia scuola ma comunque contemporaneo, perché ha i modelli internazionali giusti. Premio per favore altri dischi italiani così 2017.

Heba, Lowly
Bella scoperta del 2017: band danese dream pop, che suona esattamente come vi immaginate una band danese di dream pop. Le due frontman e cantanti Nanna Schannong e Soffie Viemose si accavallano nelle strofe e nei ritornelli e sembrano spesso una cosa sola, con le voci piene di riverbero come tutte le band scandinave, che sembra sempre stiano suonando dal mezzo di un ghiacciaio. Il tutto è appoggiato su tappetoni di synth e arpeggi di chitarra, e soprattutto sulle cose divertenti che fa il batterista Steffen Lundtoft, storte e cervellotiche e comunque tutte funzionali a portare la baracca dal punto A al punto B: stadio estetico e stadio etico, direbbe Kierkegaard. Premio Aut-Aut 2017.

A Deeper Understanding, The War on Drugs
Da quando è uscito è stato il disco più ascoltato nella fascia 8-10 della mattina al Post. Ai War on Drugs è un po’ capitato, di ritrovarsi a essere una delle band rock più apprezzate al mondo, grazie all’inaspettato successo del disco del 2014 Lost in the Dream. In A Deeper Understanding ci sono meno chitarrine e più tastiere, ma una cosa l’hanno tenuta: un’omogeneità tra le canzoni rassicurante e balsamica. Non c’è una canzone brutta, ce n’è qualcuna più bella delle altre, e si arriva alla fine più felici di prima. Premio mattine 2017.

All-Amerikkkan Bada$$, Joey Bada$$
Un disco che secondo me ha ricevuto meno attenzioni di quante ne meritasse, anche nella bolla dell’hip hop. Joey Bada$$ ha questa cosa che ha cominciato così presto a fare sul serio che ora a 22 anni ha fatto già il suo disco politico, tutto su questioni razziali e America trumpiana. Ha comprensibilmente qualche livello di lettura in meno rispetto ai suoi concorrenti più celebrati, ma è comunque un tentativo riuscito. Quella che a tratti può essere percepita come pesantezza dei testi è compensata da basi eccezionali e una produzione che se la gioca con quella dei dischi di cui si è parlato per settimane. Premio molto maturo per la sua età 2017.

Carpaccio Ghiacciato, M¥SS KETA
Un paio d’anni fa cominciò la sensation milanese di M¥SS KETA, cantante famosa per i dj set e i concerti nella zona di Porta Venezia e Loreto, che si è costruita il personaggio di diva mascherata della “Milano sushi e coca”. La sua canzone più bella rimane per distacco “Le ragazze di Porta Venezia”, ma quest’anno è uscito l’EP Carpaccio Ghiacciato, che oltre ad avere i soliti testi divertenti ha anche delle belle produzioni, tipo questa di Populous. Premio Milanocentrismo 2017.

Boo Boo, Toro y Moi
L’ultimo disco del produttore mezzo filippino e mezzo afroamericano Chaz Bundick è pieno di stile, come lui: ha una sapienza smisurata nel mettersi in mezzo a un sacco di suoni degli anni Ottanta, dalla new wave al funky, tenendo tutto insieme con le sue tipiche atmosfere avvolgenti e fredde allo stesso tempo. Non è piaciuto a tutti, e in certe canzoni vuole fare un po’ troppo il Frank Ocean: ma rimane un disco di una raffinatezza notevole. Premio eleganza 2017.

Rest, Charlotte Gainsbourg
Come da titolo, è un disco tutto sul lutto, di suo padre Serge Gainsbourg e della sua sorellastra Kate Barry. A sapere il francese lo si apprezza di più, ma a non saperlo scatta il meccanismo diverso ed esotico di sentire cantare cose che non si capiscono, e che eppure suonano musicalissime e affascinanti, specie se le canta lei. Ad accompagnare i rotacismi di Gainsbourg ci sono produzioni tipicamente dance francesi, ma che a tratti ricordano gli ultimi New Order. Quasi tutte sono del dj Sebastian, una è di Guy-Manuel de Homem-Christo dei Daft Punk. Una canzone l’ha scritta Paul McCartney.
Premio melancholia 2017.

Flower Boy, Tyler, the Creator
C’è stato tutto un periodo in cui sembrava che Tyler, the Creator fosse un rapper molto talentuoso ma inadatto a svolgere la missione che molti pretendevano da lui, e cioè che usasse quel suo talento per aiutare l’hip hop a emanciparsi dalle sue proverbiali declinazioni di violenza e pregiudizi, insieme ai molti altri che già lo stavano facendo. Poi si è capito che le cose erano più complicate di così: dopo anni di accuse di omofobia, per esempio, ha messo in Flower Boy un verso in cui dice di «aver baciato ragazzi bianchi dal 2004», e ha lasciato che si speculasse per settimane sul suo orientamento sessuale. Flower Boy è il suo disco migliore, ed è raffinatissimo sia nella musica – poco rap, molto R&B e jazz – e nei testi – schiettissimi e in cui racconta molte cose delicate di sé. Ed è la prova che non serve appiccicare addosso agli artisti missioni, ma è meglio lasciare che eventualmente se le scelgano da soli, soprattutto con quelli che reagiscono male alle briglie. Premio let Tyler be Tyler 2017.

Fa niente, Giorgio Poi
A differenza di tanto indie italiano, ascoltando Fa niente si capisce che Giorgio Poi sa suonare e comporre. I testi spesso sanno di già sentito: ma l’idea che ci si fa è che per ora non gli andasse di fare qualcosa di mai sentito. E riesce comunque nell’impresa di creare un immaginario sorprendentemente definito a metà tra le spiagge di surfisti di Biarritz e i distretti industriali emiliani. Premio idroscalo 2017. 

Happy Together, Mega Bog
I Mega Bog sono Erin Birgy, cantante e polistrumentista americana impossibile da classificare. C’è molto jazz, ci sono un po’ di David Bowie e un po’ di Cocteau Twins: ascoltando Happy Together si ha l’impressione sia il prodotto di una civiltà aliena identica all’uomo, ma che concepisce la musica in modo leggermente diverso. Non tanto diverso, ma leggermente sì. Premio colonna sonora di viaggio spaziale 2017.

american dream, LCD Soundsystem
Qualsiasi disco degli LCD Soundsystem arrivato dopo diversi anni in cui pensavamo si fossero sciolti per sempre sarebbe finito in questa lista. Basta la prima nota di sintetizzatore di “oh baby”, la prima canzone, per ricordare perché vogliamo loro così bene. Forse american dream non sposta avanti il mondo come i dischi prima, e tutto sommato loro sono rimasti gli stessi di sette anni fa: ma il fatto che suoni così contemporaneo dice delle cose su cosa sono stati, ai tempi d’oro. Premio vi siete fatti perdonare 2017.

Ti Amo, Phoenix
Uno di quei dischi di cui difficilmente si può avere un’opinione sfumata. È difficile decidere se ai Phoenix sia riuscito il tentativo di fare un disco tutto costruito intorno a un’arrabattata nostalgia di Riviera Francese e lido di Ostia anni Sessanta. Perché il risultato è una vecchia casa col pavimento in graniglia, le credenze cariche di pizzi e ceramiche e le fotografie di bambini in triciclo appese ai muri: di un passatismo talmente esagerato che diventa paradossale e viene il dubbio sia tutta una gag. Quindi forse sì, è riuscito eccome. Premio piscine a Ferragosto 2017.

Masseduction, St. Vincent
Per lei vale un po’ il discorso degli LCD Soundsystem: qualsiasi suo nuovo disco dovrebbe finire nelle classifiche di fine anno, e infatti ci finisce puntualmente. Fino ad ora sempre meritatamente. Se spendessimo ancora soldi per ascoltare un singolo album, questo dovremmo pagarlo tre volte. Perché è uno se lo si ascolta distrattamente: piacevole. Perché è un altro se lo si ascolta concentrati: molto divertente. Perché è un altro ancora se lo si ascolta con Genius aperto e la carta e la penna: pieno di cose dentro. Non sono molti quelli che ci riescono o ci sono riusciti: uno era Prince. Premio tutine 2017.

The Ooz, King Krule
A fare le cose che fa l’inglese Archy Marshall c’è solo lui. A far ballare e pogare centinaia di ragazzi suonando accordi con la settima maggiore c’è solo lui. A fare canzoni che sono insieme ambient, punk e jazz non c’è solo lui, ma a farle che si possono anche canticchiare sì. E quest’anno ci ha regalato quella sensazione appagante di quando un giovane artista da anni celebrato come talento unico non delude le aspettative e fa il disco che tutti volevano da lui, e anche meglio. Premio schitarrate 2017.

La playlist su Spotify:

Stefano Vizio

È nato a Cuneo non molti anni fa, ha studiato Storia contemporanea a Torino, gli piacciono i sassofoni, le drum machine e le storie vecchie, meglio se losche o di mare.