Cosa dobbiamo pensare di Ed Sheeran?

Il suo ultimo disco “÷” – accolto tiepidamente dai critici – diventerà forse il più venduto dell'anno: lui continua a fare bene cose diversissime, ed è la sua fortuna e il suo problema

(Christopher Polk/Getty Images)
(Christopher Polk/Getty Images)

Venerdì 3 marzo è uscito ÷ (si legge Divide), il terzo e ultimo disco del cantante britannico Ed Sheeran, uno degli artisti di maggiore successo nella musica pop mondiale. ÷ è arrivato a tre anni di distanza dall’ultimo disco di Sheeran, x, che aveva venduto milioni di copie: ÷ potrebbe finire per diventare il disco più venduto del 2017, se Taylor Swift – una che vende anche di più – non ne pubblicherà uno. Nei primi tre giorni ha venduto 432mila copie nel Regno Unito, diventando uno dei più venduti di sempre: probabilmente supererà Progress dei Take That, che vendette 519mila copie nella prima settimana, posizionandosi al terzo posto della classifica dietro 25 di Adele e Be Here Now degli Oasis, che ne vendettero circa 800mila.

Sheeran è un personaggio particolare nel panorama del pop mainstream internazionale: è celebrato per il suo talento da autore di canzoni, ma spesso accusato di confezionare dischi senza una vera identità e pensati solo per accontentare il pubblico. Sheeran non ha poi praticamente nessuna delle caratteristiche che rendono fighe le celebrità nel 2017, in un momento del pop in cui, oltretutto, vanno forte soprattutto le cantanti donne, più che gli uomini. Quello che probabilmente è il suo principale rivale per il titolo di più famoso cantante maschio nato negli anni Novanta, Justin Bieber, è completamente diverso da lui, sia per la musica sia per la personalità pubblica.

Per tutti questi motivi, Sheeran viene un po’ ignorato dalla critica, in proporzione allo straordinario successo di vendite. I siti specializzati, che spesso tendono a dare una visibilità non sempre giustificata ai pesi massimi dell’industria musicale, hanno prodotto molta meno letteratura (e ancora meno agiografia) sul suo conto. Le recensioni di ÷ sono perlopiù tiepide, anche se tutte ammettono la qualità del disco, che è probabilmente il più vario tra i tre che ha pubblicato finora. Sheeran è nato nel 1991 nel nord dell’Inghilterra, ha iniziato seriamente a fare musica a soli 13 anni, e ha fatto uscire il suo primo disco, +, nel 2011, entrando subito nelle classifiche e affermandosi come uno dei giovani artisti più interessanti in circolazione.

La caratteristica principale che rende Ed Sheeran diverso dalla maggior parte delle altre star del pop è che scrive da solo le proprie canzoni, sia i testi che la musica. Nei suoi concerti si accompagna dall’inizio alla fine con la chitarra, e ha un’ottima tecnica nello strumming, cioè nell’accompagnamento ritmico. Non è esattamente un virtuoso dal punto di vista della voce (non ha un’estensione particolarmente ampia) ma per il tipo di musica che fa non è un grosso problema. Le sue canzoni non sono allineate con quello che è lo stato dell’arte del pop mainstream, dove funzionano soprattutto hit con produzioni molto presenti ed elaborate. In tutti i suoi tre dischi ci sono almeno un paio di canzoni di questo tipo, che infatti sono pubblicate come singoli: le altre – la maggior parte – sono però basate sulla formula chitarra-voce, e in generale invece dei synth e delle drum machine impiegano strumenti acustici. Il primo singolo di ÷, “Shape of You”, è un esempio del primo tipo. È una classica hit radiofonica, ispirata al pop caraibico (una recente e consolidata tendenza nel pop contemporaneo) e confezionata con tutti gli elementi che possono renderla una delle canzoni dell’anno: dai cori nel ritornello all’orecchiabile intro di synth, che ricorda molto quella di “The Greatest” di Sia, una delle canzoni più riuscite degli ultimi anni.

Tra le canzoni di maggiore successo di Sheeran, “Shape of you” è probabilmente la più contemporanea: spesso i suoi singoli più venduti suonavano invece molto datati ed erano sorprendentemente privi di guizzi. Il più famoso di tutti, “Thinking Out Loud”, contenuto in x, è per esempio una canzone piena di cliché e molto anonima (a partire dal video). “Sing”, forse la seconda canzone più famosa di Sheeran, è una cosa a metà tra Justin Timberlake e Britney Spears, con un accompagnamento di chitarra praticamente identico a quello di “Long Train Runnin’” dei Doobie Brothers, una delle canzoni più famose degli anni Settanta.

La prima canzone di ÷ è “Eraser”, la cui strofa è un rap eseguito piuttosto bene. Il fatto che Sheeran, che non è un rapper e che anzi si collochi molto vicino all’estremo opposto del mondo dell’hip hop – bianco, bravo ragazzo, con un pubblico trasversale e probabilmente mediamente poco preparato sulle radici e sulla storia della musica afroamericana –,  faccia canzoni rap è un buon esempio delle ragioni dietro una delle perplessità principali dei critici sul suo conto: in molti sostengono abbia un’identità musicale debole, e che tocchi generi e stili diversi per seguire quelli che sono i gusti del pubblico. Nella sua recensione sul Guardian, Hannah Ellis-Petersen ha scritto che è normale che una pop star faccia accurati calcoli commerciali per pensare le sue canzoni, ma che per Sheeran questo meccanismo è in qualche modo palese: «Su queste nuove canzoni, curate e accuratamente perfezionate, aleggia un evidente senso di artificiosità, dietro ogni testo, ogni strumento, ogni modo di esprimere un sentimento e ogni cambio di atmosfera».

Non è in ogni caso la prima volta che Sheeran fa rap: l’aveva già fatto in diverse altre canzoni, e aveva dimostrato di essere molto bravo in “Take It Back”, una delle canzoni di x. E dal vivo aveva dimostrato di essere ancora più bravo a rappare e accompagnarsi contemporaneamente con la chitarra (in modo non banale): una cosa non da tutti.

Il secondo singolo tratto da ÷, “Castle on the Hill”, è un altro esempio del meccanismo di cui parla Ellis-Petersen: una canzone con una struttura elementare e piena di cori (un po’ alla One Direction, oooooà – aaaaaò), con un inizio che ricorda molto gli U2, e nella quale in generale l’aspetto cantautoriale per il quale Sheeran è tanto apprezzato si vede poco o niente.

La cosa che rende speciale Sheeran è che tutte queste cose diverse gli riescono quasi sempre bene: e quindi il pezzo rap è un pezzo rap accettabile (sempre nel campionato del pop mainstream), la hit radiofonica è una delle migliori che si sentiranno quest’anno, il pezzone per far cantare i fan adolescenti allo stadio è efficace come quelli delle boy band che lavorano con decine di produttori. Secondo qualcuno, mettendo insieme tutte queste cose, viene fuori un’accozzaglia di generi poco interessante: di sicuro ÷ non ha la coerenza di dischi come Lemonade di Beyoncé ma anche solo di 1989 di Taylor Swift, che nella sua semplicità e nel suo essere un disco pensato per dominare le classifiche aveva una sua organicità. È un discorso che si ricollega alle strategie dietro quello che fa Sheeran: la percentuale di persone per cui esistono ancora i dischi – fisici o digitali, ma intesi come serie di canzoni da ascoltare interamente e in ordine – è sempre più bassa, e lo è ancora di più tra il pubblico di Sheeran, anagraficamente piuttosto giovane. La linearità e l’armonia di un disco possono quindi essere caratteristiche che ha senso sacrificare, almeno dal punto di vista commerciale.

Jon Caramanica ha scritto sul New York Times che Sheeran «è un algoritmo pop, un Watson delle classifiche Billboard, capace di ricreare in modo soddisfacente una vasta gamma di stili. Ma lo fa da una posizione di modestia: il suo atteggiamento indifferente è un travestimento. È un assassino vestito in modo anonimo». Caramanica è d’accordo sul fatto che ÷ non sia «una dichiarazione di libertà stilistica o di sperimentazione smisurata», ma definisce Sheeran un «visitatore geniale» dei generi che affronta, riconoscendogli un eclettismo notevole. “Galway Girl”, una delle canzoni di ÷, reintroduce perfino nel pop da classifica la musica irlandese, cosa che, come nota Caramanica, non succedeva dai tempi dei Coors (o dei Cranberries).

Per Sheeran, in ogni caso, toccare un sacco di generi diversi non vuol dire smettere di fare quello che gli riesce meglio e per il quale è più apprezzato, anche dalla critica: e in ÷ lo fa in “Dive”, una ballad con un testo romanticone, una chitarra al centro dell’accompagnamento e un ritornello da sing along con accendini. Come si era già visto nei suoi dischi precedenti, è il tipo di canzone in cui Sheeran dimostra di avere talento, e spiega – almeno in parte – perché ha il successo che ha.