Il MacBook Pro di Raffaele Sollecito

Oggi a Perugia durante la seconda udienza del processo d’appello per l’omicidio di Meredith Kercher, Amanda Knox ha reso quella che si chiama una “dichiarazione spontanea”. Ha detto: «Non è togliendo la vita a me e a Raffaele che renderete giustizia a Meredith Kercher. Noi siamo innocenti, siamo in carcere ingiustamente».
So già che molti sorrideranno, in tanti blog è pieno di gente che si accanisce proprio contro la Knox e Sollecito. Se però andassero a leggere tutti i documenti, guardassero i dati, i risultati delle perizie… Se, insomma, spostassero l’attenzione dalla pettinatura di Amanda, dallo sguardo di Raffaele, da tutto il folklore che si è fatto intorno a questo caso (ricordate i titoli su “I fidanzatini diabolici”?), se, insomma, l’attenzione tornasse, come deve essere, solo sulle prove, forse anche loro qualche domanda se la porrebbero.

In primo grado Raffaele Sollecito e Amanda Knox furono condannati a 26 e 25 anni di carcere per l’omicidio di Meredith Kercher. Negli Stati Uniti ci furono proteste e dubbi, gli avvocati della Knox in Italia stopparono qualsiasi polemica dicendo che il processo era stato correttissimo, solo che la giuria si era sbagliata. Il fatto è che le difese dei due imputati chiesero alla giuria che venissero effettuate nuove perizie scientifiche su tutta una serie di elementi ma la richiesta venne respinta. La giuria disse, in pratica: «Ci bastano le analisi che sono già state fatte, non c’è bisogno di altro».
Ecco, da qui riparte ora il processo. Io non sono un magistrato o un avvocato, non sono nessuno per poter dire se uno è innocente o colpevole. Però mi piace pensare che qualsiasi condanna emessa debba andare oltre ogni ragionevole dubbio. Nel caso del processo di Perugia i ragionevoli dubbi sono rimasti, eccome. E sono belli grossi.

Ora i legali di Sollecito chiedono nuove perizie su gancetto del reggiseno trovato nella casa di via della Pergola (venne repertato oltre 40 giorni dopo l’omicidio), sulle federe del letto di Meredith (mai fatte perizie), e sul computer. E qui si apre un capitolo complicato: secondo i periti della difesa quel computer venne utilizzato tutta la notte. In pratica secondo la difesa, la notte in cui Meredith venne uccisa, su quel computer a casa di Sollecito ci fu attività continua. Vengono messi in dubbio innanzitutto i risultati delle analisi effettuate sul computer, un MacBook Pro: secondo la polizia postale c’erano state lunghe pause nell’utilizzo del Mac la sera del 1° novembre 2007, compatibili con l’uscita di casa del ragazzo e quindi con l’omicidio di Meredith Kercher, avvenuto, secondo l’accusa e secondo la sentenza di primo grado, dopo le 23.30 di quella notte. La Difesa di Sollecito contesta questi risultati: dall’analisi dei periti di parte risulterebbe che i buchi temporali certi nell’uso del computer sarebbero stati di soli sei – sette minuti. La difesa sostiene infatti che la Polizia Postale ha verificato l’utilizzo del computer esaminando l’apertura e la chiusura dei file senza considerare invece l’uso del mouse e della tastiera che indicherebbero, secondo gli avvocati, un uso costante del computer. In più, gli eventuali buchi temporali nell’uso del computer potrebbero essere dovuti ad attività successive che avrebbero cancellato le tracce precedenti. Secondo la difesa, Sollecito, con la Knox, guardò il film Il mondo di Amelie e poi film di animazione giapponesi e avrebbe ascoltato ascoltato file musicali. Tutta la faccenda è ovviamente molto documentata così come documentata sarà la replica dell’accusa. Qui ho tentato di riassumere (ed è un’impresa titanica) centinaia e centinaia di pagine di perizie. Ci vorrebbero milioni di parole per spiegare ogni singolo passaggio della richiesta d’appello, iniziando tra l’altro dal movente (la giuria nella sentenza parlò di giochi sessuali, il PM, chiedendo la condanna, parlò invece di “gelosia”)

Sempre la difesa di Sollecito chiederà di ascoltare nuovi testimoni, primo tra tutti Mario Alessi condannato per l’omicidio di Tommy Onofri che sostiene di aver ricevuto rivelazioni in carcere da Rudy Guede (in sostanza Guede gli avrebbe raccontato che Amanda e Raffaele con l’omicidio di Meredith Kercher non c’entrano nulla). Guede, per chi non se lo ricordasse è il terzo condannato per l’omicidio della ragazza inglese. Con il rito abbreviato ha preso 16 anni di carcere.

Toccherà poi agli avvocati di Amanda: anche loro chiedono nuove perizie, soprattutto sul coltello con il presunto DNA di Amanda sul manico e di Meredith Kercher sulla lama.
Insomma, quello che vogliono le difese è che tutto venga rivisto da capo. L’accusa, ovviamente, si oppone. Il 18 dicembre la giuria si ritirerà e prenderà la sua decisione. Stabilirà, cioè, se ammettere la richiesta di nuove perizie. Di fatto stabilirà se riaprire il processo per la morte di Meredith Kercher. E quella decisione sarà importante quanto una sentenza.

Stefano Nazzi

Stefano Nazzi fa il giornalista.