Screditare Giorgio Napolitano

Dunque i pubblici ministeri di Palermo avranno la testimonianza che inseguono da tempo: il capo dello stato riceverà loro, la corte d’assise e gli avvocati del processo sulla presunta trattativa stato-mafia, per un’udienza a porte chiuse in Quirinale sulla quale i giornalisti in tempo reale conosceranno (giustamente) anche il colore delle sedie. Napolitano ripeterà ciò che ha già messo per iscritto, cioè di non aver nulla di particolare da dire sullo scambio epistolare (nel frattempo da lui reso pubblico) che ebbe con il suo consigliere Loris D’Ambrosio, poi deceduto forse anche per lo stress causato dalla campagna di delegittimazione orchestrata contro di lui per colpire la presidenza.

Il castello di ipotesi costruito intorno alla trattativa è già lesionato, a partire dall’archiviazione delle accuse contro il generale Mori, scaturite dalla testimonianza di quel Massimo Ciancimino che da eroe dell’antimafia è passato a essere, nei termini usati dagli stessi magistrati, un teste «capace di mentire, costruire interi documenti, letteralmente inventare».
Ma la parte processuale della vicenda di Palermo è sempre stata strumentale ad altro. La carriera di Antonio Ingroia ne è l’emblema: da pm a opinionista a leader politico, cambiando casacca ma non bersaglio. E quando facendo informazione e battaglia politica si attaccano gli stessi sui quali si indagava da magistrato, ecco che l’opera di giustizia perde di credibilità.
Per questa ricorrente confusione di ambiti e significati, la testimonianza di Napolitano avrà eco molto oltre un peso processuale prevedibilmente nullo. Perché da anni un partito trasversale ha operato per mascariare il capo dello stato, macchiarne l’immagine, indebolirne il ruolo, minarne la strategia riformista. Cosa di meglio allora del coinvolgimento personale, anche se solo come testimone, in un processo noto al grande pubblico col sinistro e compromettente nome di “trattativa stato-mafia”?
Ci sono segnali che avvertono come i prossimi mesi saranno pieni di episodi del genere, e del resto ora anche i patti massonici sono stati tirati fra le gambe dei partiti che saranno protagonisti di un’elezione presidenziale che sarà il giro di boa della legislatura “renziana”.

Aspettiamo e vediamo, intanto ricordiamo all’Italia che se non siamo un paese ormai totalmente controllato da poteri esterni lo dobbiamo soprattutto al presidio di legalità e democrazia garantito dall’attuale capo dello stato.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.