Il Pd e la corruzione nei lavori pubblici

Orsoni parlerà oggi, finalmente. Intanto la Tangentopoli lagunare si allarga, bagna i piedi a politici nazionali importanti, rafforza nell’opinione pubblica l’immagine di una classe politica irredimibile. Anche se, a ben guardare, i particolari più sorprendenti dell’inchiesta veneziana non sono neanche quelli che riguardano i politici, bensì quelli sui funzionari della tecnostruttura coinvolta nel progetto Mose e degli enti preposti al controllo: gli organismi di vigilanza parte attiva del sistema corruttivo.
In questo senso ha ragione Matteo Renzi: le regole ci sono, il problema sono le persone. E stavolta – differentemente da quanto si sa sulle tangenti Expo – ci sono persone direttamente o indirettamente riferibili al Pd tra i sospettati di «alto tradimento» (per usare la terminologia renziana).

Concesso a Orsoni come a chiunque il beneficio del dubbio, il Pd non ha atteso le spiegazioni dell’ex sindaco. Conta poco che lui non sia propriamente uno del Pd: l’analogia con Genovese fatta ieri dal ministro Boschi equivale a una condanna politica, prima che proceda l’inchiesta giudiziaria.
La vittoria elettorale europea, arrivata in quelle dimensioni pochi giorni dopo l’esplosione dello scandalo Expo, è stata interpretata anche come la prova che Renzi ha un bonus da spendersi con gli italiani sul terreno dell’onestà e della trasparenza. È verosimile che anche dopo Venezia possa reggere la sua tesi di fondo: e cioè che lui e il suo gruppo dirigente sono un “dopo” arrivato esattamente a rovesciare un fangoso “prima”.

I fatti e i comportamenti suffragano la tesi. L’affidamento a una persona di assoluta eccellenza come Raffaele Cantone, e le preannunciate misure mirate ad abolire le procedure d’emergenza per gli appalti, rafforzano il messaggio.
Tutti però sappiamo qual è il problema: la corruzione è una malapianta con radici profonde nel sistema dei lavori pubblici. E il Pd, con tutto il rispetto per la figura dei sindaci tanto cara al presidente del consiglio, è partito di governo ormai dappertutto, a ogni livello, parte integrante e spesso dominante proprio di quell’establishment che Renzi ha promesso di rovesciare perché lo ritiene terreno di coltura di inefficienza, di opacità, al limite di illegalità.
Allora quanti altri esami, magari più difficili di quello veneziano, dovrà superare il premier-segretario per preservare il proprio prezioso patrimonio di credibilità personale e politica?

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.