Il pericolo dello sciopero inutile

Non sarebbe una buona notizia, se si scoprisse che ha ragione chi considera lo sciopero uno strumento ormai inutilizzabile, arcaico, controproducente. Perché il diritto di sciopero è stata una conquista di libertà, passaggio storico nel secolare processo di emancipazione dei lavoratori. Basta pensare ai milioni di cittadini del mondo che questo diritto ancora non ce l’hanno, per capire che gettarlo nel dimenticatoio sarebbe da folli.
Certo però il rischio della perdita di senso è grande. E ricade tutto sui sindacati, ingigantendo i loro problemi di rappresentanza. Prendiamo quattro casi attuali.

Ci sono scioperi che sembrano fatti apposta per rendere eclatante la crisi di una categoria davanti al cambiamento: i tassisti di Milano contro l’applicazione Uber. Meglio, molto meglio, quando gli stessi tassisti accettano la sfida e producono loro innovazione utile alla clientela, forti di un vantaggio di esperienza e affidabilità (dove c’è).
Ci sono scioperi che falliscono senza svolgersi, risposta impopolare e corporativa a riforme indifferibili e dimagrimenti inevitabili: la Rai, col sindacato dei giornalisti che rischia di perdere la rendita della continguità con la politica.
Ci sono scioperi che portano in emersione mondi nei quali la modernità s’è trasformata in medioevo: Renzi sappia che il popolo dei call center che era ieri in piazza è, per anagrafe e marginalità, un potenziale pezzo del suo popolo. Vale la pena occuparsene seriamente.

Infine ci sono scioperi che svelano contraddizioni insolubili. In una Roma dove i servizi pubblici sono al fallimento, si fermano domani (venerdì, as usual) i 24 mila comunali. Sono appena un terzo del totale degli stipendi erogati dal Campidoglio e dalle sue controllate: il che già rende l’idea di una dimensione insostenibile. In più, la rivendicazione principale è totalmente contro tendenza: esigono che si continui a erogare a tutti il premio di produttività, che nasceva come incentivo al merito ma siccome viene da sempre assegnato indiscriminatamente, è ormai considerato diritto acquisito. Surrogato, dicono i sindacati, di mancati adeguamenti contrattuali. Soldi indispensabili per continuare a garantire servizi che in realtà la cittadinanza vive come disservizi.
Per paradosso, sarà lo sciopero più impopolare in una città che in buona parte si sostiene proprio grazie all’elefantiasi pubblica. E lascerà un’unica certezza: quella della sua inutilità. Una certezza pericolosa, appunto.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.