L’ultimo filo rimasto

Sono ore di un lavoro intenso, tutto sotto traccia, mentre in superficie tuona furiosa l’artiglieria berlusconiana contro la prospettiva del voto palese sulla decadenza del fondatore.
Molte cose accadute dopo la sentenza su Mediaset non erano messe in conto dall’entourage di palazzo Grazioli, a dimostrazione di una sorprendente mancanza di lucidità. A chi osservava dall’esterno, fin da agosto è sempre stato chiarissimo che il Pd, già stretto nelle larghe intese come una camicia di forza, non avrebbe mai potuto concedere nulla in termini di salvacondotto personale. L’unico terreno praticabile per riequilibrare almeno un po’ la drammatica situazione nella quale si veniva a trovare Berlusconi era strettamente politico e di governo: ciò che è accaduto infatti, non casualmente, sull’Imu, appunto alla fine di agosto e appunto per la gloria (effimera) della pattuglia dei ministri Pdl.
Non basta, e obiettivamente occorre riconoscere che non poteva bastare. Soprattutto se si considerano i rischi ulteriori che a Berlusconi deriveranno dalla perdita dell’immunità parlamentare e del potere di firma su atti essenziali alla vita del movimento.

Così onestà intellettuale pretende di non scandalizzarsi per la dura reazione dei berlusconiani a una decisione – la modifica del regolamento del senato su voto palese o segreto – che ha molti buoni argomenti ma anche una palese motivazione contra personam.
In un gioco di finzioni, il Pdl per mesi ha preteso dal Pd coperture che doveva sapere di non poter ricevere; e il Pd ora pretende dal Pdl un’impossibile sportività nell’accettare la catastrofe.
Rimane, esilissimo, il filo tenuto da Letta e Alfano in questi mesi. Ove l’unico terreno possibile è ancora solo politico, puntando sul fatto che alla fine crisi ed elezioni a Berlusconi non convengono. Lo scenario di una maggioranza che rimane in piedi grazie a una scissione del Pdl era già debole e si va indebolendo. Oltre tutto, da quel momento in avanti il Pd (più o meno renziano) faticherebbe a sostenere una maggioranza con i «diversamente berlusconiani» sotto il fuoco dei «propriamente berlusconiani».
Se un filo è rimasto, il voto del senato non potrà che spezzarlo. Per questo gli sforzi di queste ore si concentrano intorno alla remota possibilità che, appunto per evitare un trauma definitivo, Berlusconi possa dimettersi motu proprio. Ma ci credono in pochi.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.