Il PdL rifiuta il patto di Letta

Per fortuna tutto il lavoro di convincimento e saggezza lo svolge Silvio Berlusconi, altrimenti sarebbe estenuante la fatica di trattenere i parlamentari del Pdl attaccati ai propri scranni, e i ministri del Pdl incollati alle loro poltrone.
Ironie a parte, a tutto c’è un limite, anche alla comprensione per le difficoltà umane e politiche dei berlusconiani alla vigilia dell’allontanamento dalle istituzioni del loro leader. Ieri sera questo limite è stato superato, definitivamente.
Il paese procede nell’incertezza sui propri destini. Un giorno il governo fa intravedere segnali di crescita, il giorno dopo le istituzioni finanziarie mondiali spengono la luce. Un giorno arrivano segnali positivi sulla ripresa almeno dell’export, il giorno dopo ecco la mazzata della deindustrializzazione galoppante e della svendita degli asset nazionali.

Enrico Letta compie uno sforzo quotidiano di ottimismo, soprattutto quando all’estero cerca di piazzare un prodotto deteriorato come l’Italia. Alla politica – d’intesa con Napolitano – ha chiesto solo l’altroieri un 2014 di stabilità. Un anno di tempo, per vedere se si riesce a dare concretezza a ciò che ora pare più che altro una promessa: il rientro definitivo sotto il 3 per cento di rapporto deficit/pil, il segno più nell’andamento della ricchezza nazionale. Di mezzo, come s’è capito, c’è una paurosa carenza di fondi, anche solo per coprire le misure già assunte a partire dall’abolizione dell’Imu.
Un’opera titanica. Una missione quasi impossibile anche se tutto venisse fatto alla perfezione, cosa che non è.

Ed ecco che la fiducia nelle possibilità di farcela, già scarsa, crolla di fronte ai comportamenti di chi dovrebbe esercitare il massimo di sostegno al governo nel momento più difficile.
Alla fine di una giornata spesa dal Pdl a minacciare Aventini e crisi di governo, l’effetto pratico dei loro gesti è come al solito nullo (dimissioni dei parlamentari nelle mani di Brunetta e Schifani, figurarsi), ma l’impatto psicologico è devastante.
Svanisce all’orizzonte il 2014 chiesto da Letta e Napolitano, fatto di concretezza e unità d’intenti. Potrebbe essere lo stesso presidente del consiglio, come ha fatto più volte capire, colui che sceglie di staccare la spina. E il congresso del Pd con la scelta di una leadership forte appare una risposta sempre più urgente, sempre più necessaria.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.