Il Pd renziano dei sindaci

Praticamente tutti i sindaci delle grandi città amministrate dal centrosinistra (cioè quasi tutte) si sono schierati con il collega Matteo Renzi. Una forza d’urto in vista del confronto congressuale. Che si moltiplica se dalle grandi passiamo alle medie città, soprattutto delle regioni chiave per il Pd: Toscana ed Emilia Romagna.

Renzi ricambia il favore citando gli amministratori come il nuovo gruppo dirigente al quale affiderebbe il Pd se ne diventasse il segretario, scalzando la tradizionale burocrazia di partito.
La formula è intrigante, suona bene alle orecchie di chi ha potuto constatare, cifre alla mano, il fallimento dell’utopica riproposizione del “partito di massa” d’una volta. Se n’è giustamente ricordato ieri Walter Veltroni, vittima di sarcasmi per quell’ipotesi “liquida” che era un tentativo di trovare alternative.
Nell’evocare i sindaci, Renzi fa risuonare la suggestione della provincia che espugna Roma, il territorio che impone le priorità al centro, per il tramite di figure battezzate dal voto diretto dei cittadini.

Eppure siamo veramente ancora alla pura suggestione.
Non è chiaro, né potrebbe esserlo, come «i sindaci» possano incaricarsi della direzione collettiva di un partito. Quale sia il luogo della sintesi nazionale. Come si superi il dualismo che fisiologicamente, dal ’93, mette quasi sempre il partito in frizione anche con i propri primi cittadini.
Depurandole delle valenze polemiche inevitabili nel contesto congressuale, Renzi non dovrebbe ignorare le voci di chi gli chiede ragionamenti e impegni più puntuali sul tema del partito. O che lo sfida sul punto, come soprattutto Gianni Cuperlo.

Tagliar corto come il sindaco faceva fino a poche settimane fa («voglio cambiare l’Italia, non il Pd») è un errore. Sul tema non c’è da fare ideologia o teoria. C’è il memento concreto di Fabrizio Barca: spinto dall’entusiasmo e dal consenso puoi arrivare nella stanza dei bottoni. Ti daranno anche l’illusione di qualche primo risultato. Poi “Roma”, le burocrazie ministeriali, i poteri della conservazione arroccati da sempre in luoghi irraggiungibili e irriformabili, cominceranno a stritolarti col sorriso sulla bocca. Come hanno fatto con tutti gli aspiranti innovatori, compreso Berlusconi. L’onda si trasformerà in riflusso e l’ultima speranza verrà delusa, con conseguenze terribili.

Alla fine, volendo dare forza alla volontà riformatrice, che si sia di sinistra o di destra sempre lì si cade: sulla necessità di una leadership e di un partito.
La prima, a quanto pare, il Pd potrebbe averla trovata. Il secondo non ce l’ha più, o più probabilmente non l’ha mai avuto.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.