Grillo, i dissidenti e gli stregoni

La persecuzione dei dissidenti dentro Cinquestelle si fa talmente cruenta da rendere inevitabile la rottura dei gruppi parlamentari. Ormai questo esito è perseguito da Grillo, del resto convinto fin dall’inizio dell’avventura di aver imbarcato troppa gente perché non si annidassero fra i 163 eletti un po’ di irregolari.

Intendiamoci, la riprovazione verso gli atteggiamenti stalinisti del gruppo di comando grillino non deve offuscare un’analisi lucida. La rottura interna era in re ipsa, in qualche modo inevitabile alla luce dell’ampiezza del successo elettorale. Tutte le analisi sul voto per M5S ne mettevano in evidenza l’eterogeneità e avvertivano, fin da febbraio, che senza un miracolo di organizzazione e di acume politico non si sarebbero tenuti insieme né i pezzi di elettorato né i pezzi della nuova élite parlamentare.
Questo puntualmente sta accadendo: Grillo e Casaleggio depurano Cinquestelle, allo stesso tempo, dagli elettori e dagli eletti che avevano frainteso la portata “rivoluzionaria” del loro progetto, scambiando un’utopia totalitaria per un banale sbocco di protesta contro partiti di sinistra troppo moderati e compromessi.

L’equivoco è stata alimentato anche dai settori di ceto politico e intellettuale che pensavano di poter giocare la forza di Cinquestelle per spostare gli equilibri interni alla legislatura e al centrosinistra. Non a caso costoro, da Pippo Civati a Paolo Flores d’Arcais, in queste ore sono i più duramente strattonati da Grillo e dai grillini fedeli. Come è accaduto a Rodotà, per lo stesso identico motivo.
Di questa illusione ottica dovremo ricordarci, quando si tratterà di valutare l’atteggiamento da tenere verso i transfughi.
Sarà giusto offrire loro una sponda in parlamento. Anche perché, se è vero che presi in quanto tali i dissidenti non valgono lo zero virgola, sono però emblematici di un segmento di mercato elettorale che s’era avvicinato a M5S ed è tornato libero, in parcheggio.

Solo degli apprendisti stregoni possono però pensare di costruire addirittura un’ipotesi di governo sulla rottura di un oggetto friabile come Cinquestelle. Non so se coloro che coltivano un simile avventuroso progetto siano gli stessi che a questo Movimento (con le caratteristiche che stiamo conoscendo) avevano pensato di appoggiarsi per dare all’Italia il governo «del cambiamento», dando in sostanza la legislatura in ostaggio a Beppe Grillo.
Nel caso, penso che il Pd non dovrebbe dare spazio a simili temerari.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.